Torino continua ad essere una città strana: una città dove salotti e salottini contano molto, spesso in maniera immeritata, e chi ne rimane fuori sembra destinato ad una esistenza quasi nell’ombra.
Non vuole questa mia essere una nota polemica, ma la constatazione di ciò che mi ha colpito, tra i tanti lati umani, nell’ultimo saluto ad Alberto Cesa. Il risalto dato dalla Torino della cultura alla scomparsa dell’artista Cesa è stato, a mio parere, non all’altezza della persona, del suo infinito lavoro.
Cesa, come Tavo Burat, faceva parte di quel mondo che appartiene agli artisti/studiosi puri, ossia a coloro che nell’arte gettano tutte le loro energie, dedicando tempo e passione allo studio, alla ricerca ed alla trasmissione del sapere.
Sia Cesa che Tavo, hanno avuto il merito di scavare nella tradizione piemontese portando alla luce pezzi di cultura nascosta, e celata dolosamente, da quel populismo popolare che dava dignità di esistenza solo alle solite canzoncine vane e le vicende di un Piemonte monarchico costituito da tanti travet.
Il Piemonte delle vere canzoni popolari, il Piemonte di fra Dolcino e delle emozioni di rivolta, è una terra che si vorrebbe lasciare all’oblio e che loro hanno, quasi in un opera archeologica delicata, rimesso alla luce, alla nostra conoscenza.
Cesa aveva una voce rara e particolare, sentendolo cantare nulla faceva rimpiangere dei nostri cantautori più lanciati sul mercato dall’industria discografica, così come testi ed arrangiamenti, eseguiti da bravi musicisti, creavano atmosfere affascinanti e rare a loro volta.
Eppure è venuta meno una grande parte della cultura della nostra Regione e Città senza che il settore culturale, giornalistico e politico, battesse ciglio. Il salotto riconosce solo i propri appartenenti escludendo gli altri: ecco perché a fronte di stanziamenti pubblici importanti la cultura piemontese è in piena entropia.
Noi lo ricordiamo, Alberto come Tavo, per l’immenso amore per la vita e l’umanità che portava in cuore e nelle sue canzoni; per la sua professionalità e capacità di fare cultura: sentiremo al sua mancanza, ed anche il vuoto lasciato in un ambiente che ha fame di “Sapere” fuori da ogni salotto nauseante.
Juri BOSSUTO
Non vuole questa mia essere una nota polemica, ma la constatazione di ciò che mi ha colpito, tra i tanti lati umani, nell’ultimo saluto ad Alberto Cesa. Il risalto dato dalla Torino della cultura alla scomparsa dell’artista Cesa è stato, a mio parere, non all’altezza della persona, del suo infinito lavoro.
Cesa, come Tavo Burat, faceva parte di quel mondo che appartiene agli artisti/studiosi puri, ossia a coloro che nell’arte gettano tutte le loro energie, dedicando tempo e passione allo studio, alla ricerca ed alla trasmissione del sapere.
Sia Cesa che Tavo, hanno avuto il merito di scavare nella tradizione piemontese portando alla luce pezzi di cultura nascosta, e celata dolosamente, da quel populismo popolare che dava dignità di esistenza solo alle solite canzoncine vane e le vicende di un Piemonte monarchico costituito da tanti travet.
Il Piemonte delle vere canzoni popolari, il Piemonte di fra Dolcino e delle emozioni di rivolta, è una terra che si vorrebbe lasciare all’oblio e che loro hanno, quasi in un opera archeologica delicata, rimesso alla luce, alla nostra conoscenza.
Cesa aveva una voce rara e particolare, sentendolo cantare nulla faceva rimpiangere dei nostri cantautori più lanciati sul mercato dall’industria discografica, così come testi ed arrangiamenti, eseguiti da bravi musicisti, creavano atmosfere affascinanti e rare a loro volta.
Eppure è venuta meno una grande parte della cultura della nostra Regione e Città senza che il settore culturale, giornalistico e politico, battesse ciglio. Il salotto riconosce solo i propri appartenenti escludendo gli altri: ecco perché a fronte di stanziamenti pubblici importanti la cultura piemontese è in piena entropia.
Noi lo ricordiamo, Alberto come Tavo, per l’immenso amore per la vita e l’umanità che portava in cuore e nelle sue canzoni; per la sua professionalità e capacità di fare cultura: sentiremo al sua mancanza, ed anche il vuoto lasciato in un ambiente che ha fame di “Sapere” fuori da ogni salotto nauseante.
Juri BOSSUTO
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