Nel frattempo sono iniziati i «carotaggi», ovvero le indagini geologiche su alcune aree destinate a ospitare il tracciato; le aree si saggio su cui si è fin qui operato sono sostanzialmente nella cintura torinese; più in alto, in val Susa, i «No Tav» giurano che non si passerà e le ruspe non potranno operare. Ma nei Comuni, ovviamente anche in quelli contrari, stanno arrivando le richieste formali per l’avvio dei sondaggi: un paio di settimane al massimo, e i tecnici incaricati si dovrebbero trovare a scavare proprio in quei territori dove l’opera è maggiormente osteggiata.
Il progetto, oltre a dividere a livello di forze politiche e ad aggregare i contrari (solo a dicembre a una manifestazione anti-Tav furono 10. 000 i partecipanti, ndr), diviene occasione di scontro politico alla vigilia delle elezioni regionali, condizionando le alleanze, delineandone di nuove a scapito di quelle che fin qui hanno determinato il governo del Piemonte.
«La nuova linea ferroviaria Torino-Lione è opera di importanza strategica per tutto il Piemonte. Dalle grandi infrastrutture dipende lo sviluppo futuro del Piemonte: in particolare Tav e Terzo Valico consentiranno alla nostra Regione di diventare una grande piattaforma logistica al centro delle rotte internazionali», questo il pensiero del Pd torinese, Chiamparino e Saitta in testa.
Ma in val Susa, anche in occasione delle recenti elezioni per la giunta della nuova Comunità montana che accorpa alta e bassa valle e val Sangone, si è stipulato un accordo fra la maggior parte delle amministrazioni (di area Pd) e le espressioni amministrative dei «movimenti». «Oggi – spiega Roberto Canu, Pd, da poco assessore nella nuova Comunità montana – si confrontano tre posizioni: i “Sì Tav”, senza se e senza ma; gli altrettanto decisi “No Tav” e una parte rilevante dei cittadini e degli amministratori che hanno perplessità e riserve sull’opera».
La maggior parte degli amministratori di centro-sinistra vuole un confronto, a 360°; «Ci sono – continua Canu – questioni di fondo e altre più specifiche. Fra le prime segnalo quella della democrazia: è lecito esprimere il dissenso? Se sì, allora si deve prevedere il confronto anche con chi non è d’accordo con l’opera. Dopo di che ognuno si prenderà le sue responsabilità e se il governo centrale ritiene quest’opera centrale per il paese, avendone le risorse, la dovrà realizzare. Ci sono però, a oggi, molti interrogativi su cui le risposte non sono state date: che fine farà la linea storica? La si cancella? La si sostituisce con bus obbligando i pendolari alla scelta della gomma? Perché non si è fatto un progetto reale sull’intermodalità? Si tenga conto che nel frattempo sono partiti i lavori per il raddoppio del Frejus, che probabilmente vorrà dire aumentare ancora il traffico su gomma in valle. Inoltre il Tav nasce come collegamento per il traffico merci; lo stesso Osservatorio qualche anno fa aveva evidenziato che il tipo di trasporto che transita in val Susa è troppo di prossimità e dunque un collegamento di tipo Tav non è la risposta adatta. Si fa invece strada un’altra idea: togliere i Tir dal Monte Bianco (destinato a essere un traforo turistico) facendo passare dalla val Susa le merci dirette al Nord che oggi passano di lì».
Il rischio a quel punto sarebbe di avere il Tav per le merci che si muovo sull’asse Nord-Sud, mentre quelle che oggi utilizzano l’autostrada del Frejus continuerebbero a viaggiare sui Tir… sommate magari al traffico su gomma destinato ai pendolari.
Sulla base di queste preoccupazioni, venerdì scorso 23 sindaci su 40 hanno ribadito al presidente Saitta la loro volontà di esprimere, come Comunità montana, dei tecnici all’interno dell’Osservatorio sull’opera. «Non si capisce perché si chiede il parere alla Comunità montana su ogni intervento, anche più limitato, e su questo la si vuol tenere fuori – ci racconta mentre partecipa a una fiaccolata in solidarietà con i membri del presidio No Tav di Bruzolo, colpito da uno «strano» incendio, Emilio Chiaberto, sindaco di Villar Focchiardo –: noi vogliamo essere nell’Osservatorio per poter dire la nostra non soltanto per dire sì all’opera».
«Un’opera – dice ancora Canu – da valutare nel suo complesso; anche ammettendo che si risolvano nel migliore dei modi i problemi delle polveri dei cantieri, delle sorgenti d’acqua tagliate dai lavori, dell’amianto, della ricaduta occupazionale e dell’assoluta trasparenza degli appalti».
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