Domenica
10 maggio 2020 – quarta dopo Pasqua
2
Cronache 5,1-14
1
Così fu compiuta tutta l’opera che Salomone fece eseguire per la
casa del SIGNORE. Salomone fece portare l’argento,
l’oro
e tutti gli utensili che Davide suo padre aveva consacrati, e li mise
nei tesori della casa di Dio.
2 Allora Salomone convocò a Gerusalemme gli anziani d’Israele e tutti i capi delle tribù, cioè i grandi delle famiglie patriarcali dei figli d’Israele, per portare su l’arca del patto del SIGNORE, dalla città di Davide, cioè da Sion.
3 Tutti gli uomini d’Israele si radunarono presso il re per la festa che cadeva il settimo mese.
4 Arrivati che furono tutti gli anziani d’Israele, i Leviti presero l’arca; 5 e portarono su l’arca, la tenda di convegno, e tutti gli utensili sacri che erano nella tenda. I sacerdoti e i Leviti eseguirono il trasporto. 6 Il re Salomone e tutta la comunità d’Israele, convocata presso di lui, si raccolsero davanti all’arca, e sacrificarono pecore e buoi in tal quantità da non potersi contare né calcolare. 7 I sacerdoti portarono l’arca del patto del SIGNORE al luogo destinatole, nel santuario della casa, nel luogo santissimo, sotto le ali dei cherubini; 8 poiché i cherubini avevano le ali spiegate sopra il posto dell’arca, e coprivano dall’alto l’arca e le sue stanghe. 9 Le stanghe avevano una tale lunghezza che le loro estremità si vedevano sporgere dall’arca, davanti al santuario, ma non si vedevano dal di fuori. Esse sono rimaste là fino a oggi. 10 Nell’arca non c’era altro se non le due tavole di pietra che Mosè vi aveva deposte sull’Oreb, quando il SIGNORE fece il patto con i figli d’Israele, dopo che questi furono usciti dal paese d’Egitto.
11 Mentre i sacerdoti uscivano dal luogo santo - poiché tutti i sacerdoti presenti si erano santificati senza osservare l’ordine delle classi, 12 e tutti i Leviti cantori, Asaf, Eman, Iedutun, i loro figli e i loro fratelli, vestiti di bisso, con cembali, saltèri e cetre stavano in piedi a oriente dell’altare, e con loro centoventi sacerdoti che suonavano la tromba - 13 mentre, dico, quelli che suonavano la tromba e quelli che cantavano, come un sol uomo, fecero udire all’unisono la voce per lodare e per celebrare il SIGNORE, e alzarono la voce al suono delle trombe, dei cembali e degli altri strumenti musicali, per lodare il SIGNORE «perch’egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno!», avvenne che la casa, la casa del SIGNORE, fu riempita di una nuvola. 14 I sacerdoti non poterono rimanervi per svolgere il loro servizio a causa della nuvola; poiché la gloria del SIGNORE riempiva la casa di Dio.
2 Allora Salomone convocò a Gerusalemme gli anziani d’Israele e tutti i capi delle tribù, cioè i grandi delle famiglie patriarcali dei figli d’Israele, per portare su l’arca del patto del SIGNORE, dalla città di Davide, cioè da Sion.
3 Tutti gli uomini d’Israele si radunarono presso il re per la festa che cadeva il settimo mese.
4 Arrivati che furono tutti gli anziani d’Israele, i Leviti presero l’arca; 5 e portarono su l’arca, la tenda di convegno, e tutti gli utensili sacri che erano nella tenda. I sacerdoti e i Leviti eseguirono il trasporto. 6 Il re Salomone e tutta la comunità d’Israele, convocata presso di lui, si raccolsero davanti all’arca, e sacrificarono pecore e buoi in tal quantità da non potersi contare né calcolare. 7 I sacerdoti portarono l’arca del patto del SIGNORE al luogo destinatole, nel santuario della casa, nel luogo santissimo, sotto le ali dei cherubini; 8 poiché i cherubini avevano le ali spiegate sopra il posto dell’arca, e coprivano dall’alto l’arca e le sue stanghe. 9 Le stanghe avevano una tale lunghezza che le loro estremità si vedevano sporgere dall’arca, davanti al santuario, ma non si vedevano dal di fuori. Esse sono rimaste là fino a oggi. 10 Nell’arca non c’era altro se non le due tavole di pietra che Mosè vi aveva deposte sull’Oreb, quando il SIGNORE fece il patto con i figli d’Israele, dopo che questi furono usciti dal paese d’Egitto.
11 Mentre i sacerdoti uscivano dal luogo santo - poiché tutti i sacerdoti presenti si erano santificati senza osservare l’ordine delle classi, 12 e tutti i Leviti cantori, Asaf, Eman, Iedutun, i loro figli e i loro fratelli, vestiti di bisso, con cembali, saltèri e cetre stavano in piedi a oriente dell’altare, e con loro centoventi sacerdoti che suonavano la tromba - 13 mentre, dico, quelli che suonavano la tromba e quelli che cantavano, come un sol uomo, fecero udire all’unisono la voce per lodare e per celebrare il SIGNORE, e alzarono la voce al suono delle trombe, dei cembali e degli altri strumenti musicali, per lodare il SIGNORE «perch’egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno!», avvenne che la casa, la casa del SIGNORE, fu riempita di una nuvola. 14 I sacerdoti non poterono rimanervi per svolgere il loro servizio a causa della nuvola; poiché la gloria del SIGNORE riempiva la casa di Dio.
Il
nostro lezionario ci propone un brano tratto dal secondo libro delle
Cronache, che racconta la storia di Israele da Adamo fino al ritorno
del popolo dall’esilio in Babilonia. È quindi un parallelo dei
libri di Samuele e dei Re, con la differenza che nei libri delle
Cronache la storia è raccontata dal punto di vista della monarchia
di Davide e Salomone e infatti tace tutte le cose negative, come la
vicenda di Betsabea e della morte di Uria, ecc.
Il
brano che ci è proposto racconta il momento in cui l’Arca del
patto viene posta all’interno del Tempio di Gerusalemme che
Salomone ha costruito. Come è noto, Davide avrebbe voluto costruire
una “casa per il Signore” ma Dio aveva deciso che non sarebbe
stato lui, bensì suo figlio Salomone a farlo; e, detto tra
parentesi, la ragione di questa scelta è molto interessante: Davide,
infatti, dice allo stesso Salomone:
«io
stesso avevo in cuore di costruire una casa al nome del SIGNORE, del
mio Dio; ma la parola del SIGNORE mi fu rivolta, e mi fu detto: “Tu
hai sparso molto sangue, e hai fatto grandi guerre; tu non costruirai
una casa al mio nome, poiché hai sparso molto sangue sulla terra,
davanti a me. Ma ecco, ti nascerà un figlio, che sarà uomo di pace,
e io gli darò tranquillità, liberandolo da tutti i suoi nemici
circostanti. Salomone sarà il suo nome; io concederò pace e
tranquillità a Israele durante la vita di lui. Egli costruirà una
casa al mio nome; egli mi sarà figlio, e io gli sarò padre; e
renderò stabile il trono del suo regno sopra Israele per sempre”»
(1 Cronache 22,7-10).
Dunque
un uomo di pace e non uno che ha versato molto sangue è chiamato a
costruire la casa per il Signore.
Il
nostro brano racconta l’ingresso dell’arca nel tempio come un
momento molto solenne e fastoso: è presente «tutta la comunità di
Israele» (tutta per modo di dire, perché ci sono soltanto gli
uomini…), vengono fatti tanti sacrifici di animali che non si
possono nemmeno contare, i leviti cantori sono vestiti di bisso,
c’è un coro e un’orchestra che conta 120 trombe e altri
strumenti musicali e tutti cantano la
lode che incontriamo
anche all’inizio dei
Salmi 106 e 107 e troviamo come ritornello
nel Salmo 136: «perch’egli è buono, perché la sua bontà dura in
eterno!».
Un
evento estremamente solenne, in cui tutti gli sforzi sono concentrati
per dare gloria a Dio (e forse, ci sia consentito pensare, anche un
po’ al regno di Salomone…).
È
il momento in cui Dio “prende possesso” della abitazione che
Salomone gli ha costruito. Dio ha sempre “abitato” in mezzo al
suo popolo, fin da quando lo ha guidato fuori dall’Egitto e nel
lungo cammino nel deserto la sua casa era la “tenda del convegno”
che fu poi sistemata nel Tabernacolo che Israele costruì a Dio nel
deserto (vedi Esodo 33,7ss. e 40,34ss.). Ora va ad abitare nel
Tempio.
Ma
che cosa vuol dire che Dio va ad abitare nel tempio? Che cosa c’è
dentro questa casa? Del resto Salomone stesso lo sa che «i cieli e i
cieli dei cieli non possono contenerti;
quanto meno questa casa che io ti ho costruita» (2 Cronache 6,18).
Nel tempio viene posta l’arca dell’alleanza e «nell’arca non
c’era
altro se non le due tavole di pietra che Mosè vi aveva deposte
sull’Oreb, quando il SIGNORE fece il patto con i figli d’Israele,
dopo che questi furono usciti dal paese d’Egitto»(v.
10).
Soltanto
le tavole del patto. Nell’arca – e quindi nel tempio, nel luogo
santissimo, la stanza centrale del tempio - non c’è altro.
Chiaramente non ci sono immagini di
Dio: il secondo
comandamento era chiaro e la vicenda del vitello d’oro era ben
impressa nella memoria di Israele. Ci
sono i cherubini che con le loro ali proteggono simbolicamente
l’arca; al di fuori
dell’arca ci
sono
le cose necessarie per i
sacrifici, ma nel centro, dentro
l’arca ci sono
soltanto le tavole della legge. Dio è rappresentato
dalla sua volontà, dai suoi comandamenti, dalla Torah,
che è molto di più che “comandamenti” ed è molto di più che
“Legge”. Per usare un termine a noi caro, potremmo dire che
Dio è rappresentato dalla sua Parola.
«Nell’arca
non c’era altro», perché non c’era bisogno di altro. E
anche per noi oggi non c’è bisogno di altro se non della sua
Parola. Perché Dio si rivela così, attraverso la sua Parola, Parola
che per noi cristiani si è incarnata in Gesù di Nazaret. E la
testimonianza su Gesù di Nazaret (Nuovo Testamento) e sulla storia
del suo popolo, Israele (Antico Testamento), di cui egli è il
messia, venuto per tutta l’umanità, costituiscono la nostra “arca
del patto”, le nostre tavole della legge.
Le
tavole della Legge che si trovano nell’arca rappresentano la
volontà del Dio liberatore. Non possiamo infatti separare il dono
della Torah dalla liberazione dalla schiavitù in Egitto, perché
questi due momenti sono strettamente legati fra loro. Il Dio che dà
i comandamenti è il Dio che ha dato la libertà. Così è per noi:
il Dio che nella sua Parola ci chiama ad essere discepoli di Gesù, è
il Dio che nel suo figlio Gesù ci ha giustificati, dunque liberati
dalle conseguenze del peccato.
Dio
è il Dio della Parola, che parla - a Israele attraverso la Torah e
attraverso i profeti, a noi anche attraverso la testimonianza
apostolica, che ci parla di Gesù – che dialoga con noi e ci
interpella attraverso la Scrittura.
(Per
questo – detto tra parentesi - per celebrare un culto basta avere
la Bibbia, non serve altro. Se sono disponibili pane e vino si può
anche celebrare la Cena del Signore. Se si conoscono dei canti a
memoria si può cantare anche senza innari, per celebrare un culto
completo dall’inizio alla fine basta la Bibbia).
Ma
c’è un secondo aspetto molto importante in questo brano: mentre
viene celebrata tutta questa solenne liturgia, la casa del Signore si
riempie di una nuvola: è la gloria del Signore che riempie la casa;
la gloria è la presenza di Dio. E la “riempie” in senso
letterale, al punto che i sacerdoti non possono più starci e sono
costretti a uscire. È molto interessante (e anche buffo…) questo
dettaglio, per cui sembra che la gloria di Dio “spinga fuori” i
sacerdoti. Che cosa vuole dirci questa scena? Forse che l’essere
umano non può stare accanto a Dio, non può starci troppo vicino.
Come non lo può vedere e vivere (Esodo 33,20) non può nemmeno stare
troppo vicino a Dio. Divino e umano non si devono toccare, non si
devono confondere. Si toccheranno (ma non confonderanno), secondo la
fede cristiana soltanto in Gesù Cristo.
Questa
scena vuole preservare l’alterità di Dio, il fatto appunto che
egli è, come si dice, “totalmente altro” rispetto all’essere
umano. Ma preservare l’alterità di Dio vuol dire preservare la sua
libertà: Dio abita nella casa che l’essere umano (Salomone) gli ha
costruito, solo perché, se e quando lo decide
lui. La gloria di Dio scende dall’alto e viene ad abitare in mezzo
al suo popolo: segno che Dio non è lontano, ma vicino, che Dio c’è,
è lì e il popolo sa dove trovarlo.
Ma
non è a disposizione del popolo, non è nelle sue mani, la sua
gloria – cioè la sua presenza - potrebbe anche essere ritirata dal
tempio. Non c’è nessun automatismo; Dio non deve abitare
in mezzo al suo popolo, ma vuole abitare
in mezzo al suo popolo, ha deciso
di abitare in mezzo al suo popolo; è una sua decisione libera e
senza condizioni, segno della sua fedeltà al patto – rappresentato
dalle tavole – a cui lui rimane fedele; segno,
potremmo dire, della sua pura grazia.
E
allora devo correggere leggermente ciò che ho detto poco fa: le
tavole della legge bastano, nel senso che non c’è bisogno di
altro, di altre cose materiali. Ma in un altro senso non bastano: le
tavole della legge senza la gloria-presenza di Dio non bastano, sono
solo due tavole di pietra. La Bibbia, senza lo Spirito che dona la
fede e ci accompagna nella sua lettura e interpretazione, non basta,
è solo un libro di carta, che potrà essere affascinante quanto si
vuole, ma rimane sempre solo un libro.
È
la libera presenza di Dio (la sua gloria
nell’Antico Testamento, il suo Spirito
nel Nuovo Testamento) che rende il tempio casa di
Dio e la Bibbia Parola di
Dio.
L’evangelo
di questo antico racconto è che Dio vuole abitare
in mezzo a noi come in mezzo al suo popolo. Dio ha deciso di abitare
in mezzo a noi in Gesù Cristo e ora nel suo Spirito, che rende
attuale
per noi tutto ciò che Gesù ha detto e fatto e dunque
rende attuale per noi il dono
della sua vita sulla croce e
la sua resurrezione.
Il
Dio che i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere ha deciso
di venire ad abitare in mezzo a noi. Questa è la buona notizia,
antica (come questo testo) e sempre nuova, perché la presenza di Dio
in mezzo a noi è sempre dono, è sempre grazia. Davanti a questa
grazia non ci resta che intonare anche noi il canto di gioia
e lodarlo
«perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno!».
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