sabato 23 maggio 2020

Predicazione di domenica 24 maggio 2020 (Ascensione di Gesù ) su Giovanni 17,20-26 a cura di Marco Gisola

24 maggio 2020 – Ascensione di Gesù
Giovanni 17,20-26
20 Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 21 che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. 22 Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 23 io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me. 24 Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo. 25 Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 26 e io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro».


Questa domenica ricordiamo l’ascensione di Gesù al cielo, la sua “salita” al padre. Gesù è asceso al cielo “proprio per essere più vicino a tutti noi, per essere e per venire più vicino a noi. Per essere invocato da tutti gli angoli della terra, in tutte le lingue della terra” come ha scritto il pastore Emanuele Fiume sul settimanale Riforma della settimana scorsa.
Il nostro lezionario ci propone per ricordare l’ascensione di Gesù un brano della lunga preghiera di Gesù del cap. 17 del vangelo di Giovanni. Una preghiera che si trova tra il discorso di addio di Gesù (iniziato con la lavanda dei piedi del cap. 13) e la sua passione che inizia subito dopo. Gesù in questo discorso parla della sua “glorificazione” che è il tipico termine usato da Giovanni per indicare la crocifissione-resurrezione-ascensione di Gesù, come fossero un unico evento.
L’ascensione non è una ricorrenza molto sentita, eppure è la conclusione e l’esito della venuta di Gesù nel mondo, dell’incarnazione della Parola di Dio. Gesù torna da dove è venuto, torna al Padre che lo ha mandato, e questo significa che il suo compito in mezzo a noi non solo è terminato, ma è compiuto, portato a termine. Ma non solo: Gesù non è solo andato al Padre, e quindi andato via da noi; Gesù siede alla destra del Padre, non è scomparso, c’è, è lì, il risorto è il glorificato, veglia su di noi, insieme al padre e in unità con lui. E prega per noi. Infatti, nella sua preghiera del cap. 17 sembra proprio che da un lato parli il Gesù che deve ancora andare verso la croce, ma dall’altro egli sembra essere già con il Padre; chi parla è il Gesù uomo che deve ancora affrontare la passione e allo stesso tempo il Gesù glorificato che sa di essere tutt’uno con il Padre.
1) la prima riflessione che possiamo fare è proprio questa: Gesù prega per noi. È una cosa bellissima, è un dono che egli ci fa e che secondo l’apostolo Paolo Gesù continua a fare proprio dopo la sua ascensione, essendo alla destra del Padre: «Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi» (Rom. 8,34). Gesù intercede per noi.
Nel brano che abbiamo letto prega proprio per noi, non cioè per i dodici, per i discepoli che lui ha chiamato e lui stesso ha istruito (per loro ha pregato nella prima parte della preghiera), ma per «quelli che credono in me per mezzo della loro parola», ovvero per quelli che credono grazie alla predicazione degli apostoli e poi grazie alla predicazione di coloro che sono venuti dopo, di generazione in generazione. Qualcuno li ha definiti “discepoli di seconda mano”, perché non hanno ascoltato la Parola direttamente dalla bocca di Gesù. Noi tutti siamo “discepoli di seconda mano” perché dopo la sua ascensione non possono esserci che “discepoli di seconda mano”. Gesù prega per i discepoli che verranno e questa è una cosa bellissima, per questo possiamo ritenerci compresi nella sua preghiera. Prega anche per chi ancora non c’è e ancora non lo ha conosciuto.
2) E come si diventa discepoli? I discepoli che verranno «credono in me per mezzo della loro parola», cioè della parola degli apostoli. Noi forse lo diamo per scontato ma non lo era affatto: si può credere non solo ascoltando le parole di Gesù, che escono dalla sua bocca, ma anche ascoltando le parole su Gesù pronunciate da fragili e contraddittorie bocche umane.
Questo è il miracolo che avviene per opera dello Spirito Santo, che giungerà a Pentecoste. Non si crede certo grazie alle parole più o meno belle o più o meno chiare di un predicatore o di una predicatrice, di un o di una testimone. Non è il predicatore/la predicatrice, non è il/la testimone che porta alla fede, ma è colui che è predicato, colui che è testimoniato, cioè Gesù Cristo. È lo Spirito che dalla predicazione e dalla testimonianza umane sa trarre fuori il Signore predicato, il redentore testimoniato. La fede - lo ha detto anche Paolo – nasce dalla Parola ascoltata. E, ripeto: che Dio, attraverso il suo Spirito, si serva della parola umana per far giungere la sua Parola non era affatto scontato, ma è anch’esso un dono della grazia.
3) Per che cosa prega Gesù? Prega per i suoi discepoli e per i discepoli che verranno ma in modo particolare per la loro unità. Questa preghiera di Gesù è diventata – a ragione - uno dei fondamenti biblici del movimento ecumenico. Gesù vuole l’unità dei suoi discepoli e delle sue discepole, prega per essa. Gesù non conosceva la divisione che ci sarebbe stata tra le chiese (possiamo chiederci se se l’aspettava o se l’immaginava….), ma conosceva bene la divisione che corre tra gli esseri umani e i gruppi di esseri umani (Paolo, per esempio, conosce bene le divisioni che ci sono all’interno della chiesa di Corinto… 1 Cor. 1,10ss.). Per questo Gesù ha ben motivo di pregare per l’unità dei suoi discepoli e delle sue discepole.
Ma per quale unità prega? Non per una unità istituzionale: nulla è più lontano dal vangelo di Giovanni, o dal Gesù che Giovanni ci racconta, dell’istituzione. E nemmeno per una unità sentimentale. Il modello di unità a cui Gesù pensa è nientemeno che l’unità tra lui e il Padre: «affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità», dice Gesù. Parole non facili da capire.
Giovanni usa qui l’espressione “essere in” come l’ha usata anche prima: «che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi». L’unità dei cristiani discende e deriva dall’unità di Cristo col Padre e accade quando Gesù è nei cristiani e i cristiani sono in Gesù. Qualunque sia il significato preciso di queste parole di Gesù, è chiaro che l’unità dei cristiani è in Cristo. Coloro che sono in Cristo e Cristo in loro sono anche uniti fra loro.
Certo sono parole non facili da trasformare in dottrina o in prassi. Anzi forse è impossibile trasformarle in dottrina o in prassi e forse è molto meglio così: l’unità per cui Gesù prega non è dottrinale, non è pratica, non è istituzionale e non è sentimentale. È cristiana, nel senso che ha il suo fondamento e la sua ragion d’essere in Cristo. E basta. Non siamo noi ad unirci tra noi, ma è lui ad unirci a lui e, di conseguenza (ma solo di conseguenza!), tra di noi. La nostra è un’unità che deriva dall’azione di grazia di Dio e non dai nostri sforzi o dalle nostre buone intenzioni (che ovviamente non sono negativi, ma non sono determinanti).
4) L’unità tra i discepoli/e per cui Gesù prega non è fine a se stessa. L’unità dei discepoli/e ha uno scopo: «affinché il mondo creda che tu mi hai mandato» (v. 21). Al v. 23 Gesù dice la stessa cosa (solo che usa il verbo «conoscere» anziché credere) e fa un’aggiunta interessante: «… affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me».
Il mondo – cioè tutti coloro che non credono – deve venire a sapere due cose: 1) che Dio ha mandato Gesù nel mondo come suo figlio redentore; e 2) che Dio ama coloro che si affidano a lui. I discepoli/e di Gesù sono quindi chiamati a testimoniare attraverso la loro unità il Figlio di Dio e l’amore di Dio. Potremmo anche dire: l’amore che Dio ha rivelato mandando suo figlio. La rivelazione che l’unità dei discepoli/e testimonia è la rivelazione dell’amore di Dio nel figlio e attraverso il figlio. La prima cosa quindi che siamo chiamati a testimoniare è il fatto di essere amati, è l’amore di Dio per noi. Prima dell’amore che riusciamo (o non riusciamo) a dare, siamo chiamati a essere testimoni dell’amore che abbiamo ricevuto. La prima caratteristica del nostro essere cristiani sta nell’essere amati. Tutto il resto nasce da lì.
5) Nella seconda parte del brano Gesù guarda direttamente al Regno di Dio, anzi parla come se fosse già nel Regno di Dio, come se – appunto – la sua ascensione (che Giovanni chiama “innalzamento” o “glorificazione”) sia già avvenuta: «Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati». Gesù usa una parola forte nella sua preghiera: «voglio». La sua richiesta è che i suoi discepoli (di prima e di seconda mano…) siano con lui dove lui è, cioè appunto con il padre nel suo regno. Ma poiché il volere di Gesù è identico a quello del Padre (il vangelo di Giovanni lo dice ripetutamente) la richiesta di Gesù è in realtà una promessa: i suoi discepoli saranno con lui.
È la promessa che aveva già lasciato ai suoi discepoli nella prima parte del discorso di addio, dopo la lavanda dei piedi: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi» (14,3). La promessa che Gesù ci fa è che dove sarà lui – nel regno di amore e giustizia del Padre – ci saremo anche noi.
Gesù prega per noi e per la nostra unità, si serve di noi per far arrivare nel mondo la sua Parola, Gesù è l’amore incarnato del Padre e questo amore, che il mondo deve vedere, è per noi promessa che Egli non ci lascia e non ci lascerà, finché la sua promessa sarà compiuta nel regno del Padre suo dove saremo sempre con lui. Tutto questo ci dice il brano di oggi e tutto questo significa l’ascensione di Gesù al Padre. Tutto questo per amore di Dio, tutto questo per la nostra gioia, consolazione e speranza.

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