sabato 16 maggio 2020

Predicazione di domenica 17 maggio 2020 su Matteo 6,5-15 a cura di Marco Gisola

Domenica 17 maggio 2020 – quinta dopo Pasqua
Matteo 6,5-15
5 «Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. 6 Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.
7 Nel pregare non usate troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole. 8 Non fate dunque come loro, poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate. 9 Voi dunque pregate così:
“Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome;
10 venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo, anche in terra. 11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano; 12 rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori; 13 e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno.”
14 Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.


In questo brano Gesù insegna ai suoi discepoli come pregare e che cosa chiedere.
Sul come pregare, Gesù fa riferimento sopratutto alle preghiera che gli ebrei erano tenuti a fare in determinate ora della giornata. Poteva capitare che in quei momenti, persone che Gesù chiama “ipocriti” pregassero in pubblico, lì dove si trovavano, in sinagoga o in piazza. Pregavano per farsi vedere, per mostrare agli altri che erano bravi credenti e pregavano puntualmente. Gesù polemizza poi con chi usa molte parole nella sua preghiera, come se il numero delle parole rendesse la preghiera migliore, come se una preghiera fosse tanto migliore quanto più lunga. Tutto ciò che trasforma la preghiera in spettacolo, in messa in mostra, e dunque in vanto, in opera orgogliosa da mostrare agli altri è condannato da Gesù.
Non si prega per essere osservati dagli altri. La preghiera – la preghiera personale, ovviamente, non quella che si svolgeva nel tempio durante le funzioni o le feste – è un fatto intimo tra il credente e Dio, una questione a tu per tu con Dio. Trasformarla in evento pubblico, significa avere un secondo fine, significa che essa non è più dialogo con Dio ma è un mettersi in mostra. Anzi: così Dio stesso viene usato per mettersi in mostra! Al centro della preghiera c’è Dio, se essa diventa spettacolo o esibizione, al centro della preghiera non c’è più Dio ma c’è chi prega. Pregare è de-centrarsi, non mettere al centro se stessi, ma Dio, che ascolta la nostra preghiera.

Gesù dà per scontato che il credente preghi, ovvero dialoghi con Dio, ovvero chieda e il Padre Nostro insegna che cosa chiedere. Ma prima di tutto va sottolineato che per Gesù pregare equivale proprio a chiedere! Non come la preghiera del fariseo di Luca 18,9ss che ringrazia Dio, sì, ma così facendo si mette di nuovo in mostra, proprio come Gesù dice di non fare. Quel fariseo non chiede nulla e forse ci vorrebbe da dire: “che bravo, non chiede nulla a Dio, lo ringrazia soltanto!”. E invece no, non è bravo, perché lui non chiede nulla perché pensa di non avere bisogno di nulla da Dio. Invece la preghiera che ci insegna Gesù ci insegna proprio a chiedere perché abbiamo bisogno di tutto da Dio.
Il credente è innanzitutto davanti a Dio come colui che chiede, cioè come colui che NON ha, ma che anzi ha bisogno, che è privo, che è a mani vuote, che non ha nulla da dare ma solo – appunto – da chiedere e ricevere. Potremmo dire che la preghiera è una confessione di NON fede in se stessi: chi prega non ripone la propria fiducia in se stesso, ma in Dio soltanto.
Preghiera è consapevolezza non solo di avere bisogno, ma di non considerare scontato di avere ciò che si chiede. La preghiera non è rivendicazione di un diritto, ma invocazione di un dono. Di un dono promesso, certo, quindi richiesto con fiducia. Gesù infatti dice: «il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate»(6,8). Non si prega per informare Dio su ciò di cui abbiamo bisogno, perché lui lo sa già, prima che glielo chiediamo.
Anzi qui la prospettiva è rovesciata: è Dio che ci insegna di che cosa abbiamo bisogno. Si prega per invocare il dono promesso, si prega per manifestare la propria consapevolezza di essere nulla-tenenti ma tutto-riceventi, ovvero di non ricevere nulla che non sia donato.


Non si può entrare nel dettaglio del Padre Nostro in una predicazione – bisognerebbe vedere le richieste una per una – e allora mi limito a due pensieri.
1) La prima cosa la riprendo da un Padre della Chiesa, Origene (III secolo), che sosteneva che la frase «come in cielo, anche in terra» non si riferisca soltanto alla richiesta «sia fatta la tua volontà», ma anche alle precedenti, cioè «sia santificato il tuo nome» e «venga il tuo regno». E anche biblisti moderni dicono che questa lettura è possibile.
Nei cieli, cioè in Dio, il nome di Dio è santificato, il suo regno è presente, la sua volontà è fatta (che in fondo sono tre modi diversi ma simili di dire la stessa cosa). Nel Padre Nostro noi chiediamo che questo accada anche in terra. Perché in terra, cioè in mezzo a questa umanità per certi versi fragile e sofferente, per altri versi complicata e malvagia, il nome di Dio non è santificato, Dio non regna, la sua volontà non è fatta.
In terra non è santificato il nome di Dio (cioè Dio stesso), ma il nome degli idoli che esistono da quando esiste l’umanità: ovvero la ricchezza, il potere e la fama (che oggi si chiama “successo”). Loro vengono adorati, nel senso che molte persone vivono e operano per avere più ricchezza, più potere, più fama. E non solo i ricchi e i potenti vorrebbero sempre più ricchezza e sempre più potere, ma anche i poveri o i non ricchi vorrebbero più ricchezza e più potere.
In terra non regna Dio, ma regna l’essere umano e come ha detto Paolo Ricca “il mondo nel quale l’uomo è re non sopporta il mondo nel quale Dio è re”. E dunque non è fatta la volontà di Dio, ma la volontà dell’essere umano, che non è sempre (anzi, purtroppo raramente….) improntata alla giustizia e alla pace, ma spesso all’ingiustizia e alla sopraffazione.
Nella prima parte del Padre Nostro quindi chiediamo che avvenga sulla terra quello che avviene nel cielo; quello che nel cielo è reale, sulla terra è invocato e sperato. La gioia, la pace, l’armonia che in cielo sono un fatto, sulla terra sono una speranza, per cui si prega e per cui ci si impegna. Tutto ciò - che il suo nome sia santificato, che il suo regno venga, che la sua volontà sia fatta - lo chiediamo a Dio perché non possiamo farlo accadere noi, ma mentre glielo chiediamo, gli chiediamo anche di servirsi di noi per fare accadere tutto ciò. Noi non possiamo essere soggetti della santificazione del suo nome, della venuta del suo regno e del realizzarsi della sua volontà, ma possiamo essere strumenti, strumenti nelle sue mani e la preghiera di servirsi (anche) di noi è implicita nelle prime tre richieste del Padre Nostro.


2) Nella seconda parte del Padre Nostro Gesù ci insegna di che cosa abbiamo bisogno e ci insegna a chiederlo a Dio. Abbiamo bisogno di pane, di perdono e di bene.
Il pane è ciò che ci serve per vivere, e non è solo il nutrimento: Lutero ci includeva anche il coniuge, il buon governo, la salute, gli amici e i vicini… Il perdono significa buone relazioni con gli altri improntate alla ricerca della riconciliazione e non al rancore o alla vendetta. Il bene è declinato chiedendo a Dio di evitarci due aspetti del male: in quella frase (non indurci/esporci alla tentazione), che ci crea sempre molti problemi e che ora non possiamo approfondire, riconosciamo che la tentazione è un fatto: essa è confessata come possibile e probabile e dunque si chiede a Dio di evitarcela. Il male è tutto ciò che fa male al corpo e alle relazioni che abbiamo con il prossimo. Da questo male chiediamo a Dio di essere liberati.


Come è evidente queste tre (o quattro) richieste sono al plurale. Non si prega per sé, ma per tutti; non prego per “me”, ma per “noi”. Questo è molto significativo e lo è tanto più se si pensa, come dicevamo all'inizio, che Gesù chiede di pregare questa preghiera da soli nella propria “stanzetta”: Gesù ci chiede di pregare al plurale (per “noi” e non per “me”) quando siamo soli. Il Padre Nostro è diventata la preghiera liturgica per eccellenza, non c’è culto o incontro di preghiera che non includa il Padre Nostro, e lo è diventato (oltre che per il fatto che è l’unica preghiera che Gesù stesso ha insegnato) anche grazie a questo “noi”. Ma non dobbiamo dimenticare che Gesù l’ha insegnato come preghiera individuale e al singolo che prega ha insegnato a pregare per “noi”, non solo per sé ma anche per gli altri.
Posso pregare da solo o da sola, ma non posso pregare solo per me. Non c’è nulla che io chieda per me che chieda soltanto per me; non posso chiedere il pane solo per me; non posso chiedere il perdono solo per me; non posso chiedere solo il mio bene; Gesù mi insegna a chiedere queste cose anche per gli altri. Anzi: non posso chiedere queste cose per me se non le voglio chiedere anche per gli altri. Se questo principio spirituale diventasse anche un principio sociale, il nostro mondo darebbe completamente diverso.

L’istruzione di Gesù termina con un'altra parola sul perdono, segno di quanto ritenesse importante questo aspetto proprio nella preghiera. In questa frase i due “se” possono farci paura: “se” il perdono di Dio dipende (dipendesse) dal perdono che siamo capaci di dare noi agli altri, saremmo veramente nei guai!
Nel Padre Nostro Gesù ha detto «rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori» e un noto biblista morto alcuni anni fa (Oscar Cullmann) ha detto che la frase «come anche noi...» “non riguarda assolutamente l’esaudimento da parte di Dio della nostra richiesta, bensì la nostra stessa richiesta umana...” (La preghiera nel Nuovo Testamento, Torino, Claudiana, 1995, pp. 100-101).
Ovvero: non è il fatto che Dio ci perdoni che dipende dalla nostra capacità di perdonare, ma è il nostro stesso chiedere perdono che non ha senso se non siamo disposti a perdonare. Possiamo quindi intendere anche questa ultima frase di Gesù in questo senso: non ha senso chiedere a Dio il perdono che non siamo disposti a dare al prossimo.

E infine, per concludere: a chi ci rivolgiamo in preghiera? Al Padre nostro. Che è certo il Signore, il Creatore, il Liberatore… ma che ci invita a chiamarlo Padre. O meglio, è Gesù che ci invita a chiamare Padre suo padre. Il Padre Nostro è la preghiera dei figli adottivi e fratelli e sorelle di Gesù, in Gesù e grazie a Gesù. Nel Padre Nostro non c’è il nome di Gesù, ma Gesù c’è al suo inizio, in quella invocazione “Padre” che senza di lui non sarebbe pensabile.
E si invoca il Padre nostro: fin dall’inizio è una preghiera al plurale. La preghiera che Gesù ti invita a pregare nella tua stanzetta, da solo/a con Dio, è la preghiera che comprende tutti i figli e tutte e le figlie di Dio che pregando come te, ovunque siano, sono in Cristo tuoi fratelli e tue sorelle.
Ringraziamo il Signore Gesù che ci ha donato questa preghiera e ci ha donato anche le sorelle e i fratelli con cui pregarla, insieme oppure ognuno nella sua “stanzetta”, ma comunque insieme nel suo nome.

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