sabato 13 settembre 2008

IL VALORE DELLA LINGUA PIEMONTESE

INTERVISTA di Aldo Fappani
per il bisettimanale La Nuova Provincia,
Bisettimanale biellese d'informazione,
Sabato 6 settembre 2008, ANNO XIV n°69,
p. 18 /// MEMORIA BIELLESE
INTERVISTA di Aldo Fappani
domande: a Tavo Burat

Il valore della lingua piemontese
nelle riflessioni del biellese Tavo Burat

QUANDO MUORE
UNA LINGUA
MUORE UN PEZZO DI UMANITA'.
SI PERDE
LA MEMORIA
DI UN POPOLO,
DI UNA CULTURA,
DI UNA VISIONE
DEL MONDO


Il dibattito sul valore intrinseco delle lingue regionali e dei dialetti in rapporto alla varie epoche della storia e alla necessità o meno della loro riscoperta e valorizzazione è sempre di attualità non solo tra studiosi o specialisti del settore. Ed è trasversale a mentalità e sensibilità sia individuali che collettive. Della questione c’è chi non si pone nessun problema. Chi lo minimizza ritenendolo superfluo negandogli dignità. Chi invece lo riscopre e rivaluta riproponendone il valore pedagogico, letterario e di cultura popolare. Ad esempio Pier Paolo Pasolini negli anni Settanta sosteneva la “ … necessità di lottare contro questo nuovo fascismo che è l’accentramento linguistico del consumismo in quanto occorre lottare per tutte le forme alterne e subalterne di cultura “. In Friuli Venezia Giulia negli scorsi anni l’assessore Roberto Antonaz affermava “ .…oggi la globalizzazione tende tutti a impoverirci e pure a parlare a scapito dei nostri idiomi. Dobbiamo tutelare le nostre peculiarità tra cui anche la lingua friulana come una delle rivendicazioni principali assieme ai temi sociali. Veicolando la coscientemente per agevolarne l’apprendimento in quanto una lingua non può sopravvivere se non è parlata e scritta “. Sull’articolata tematica lasciamo ora la parola al professor Gustavo Zanchi Buratti di Chiavazza cheda mezzo secolo ne parla con passione e competenza.

Quale è la differenza tra lingua - parlata regionale - dialetto - vernacolo ?

Si tratta di termini che non hanno alcun valore scientifico. Infatti il medesimo idioma può essere definito “lingua“ oppure “dialetto“ nel corso della sua storia o persino contemporaneamente in uno Stato o in un altro. Ad esempio, la lingua d’Oc ( o Occitano o Provenzale) fu nel medioevo la lingua culturalmente più importante dopo il tramonto del latino però - in seguito alla conquista con il relativo genocidio che i re di Parigi alleati del Papacompirono in quelle terre - la lingua d’Oc decadde a povero idioma di contadini e pescatori, insomma a dialetto. Ma nel secolo XIX Federico Mistral (premio nobel per la letteratura ) e i suoi discepoli la riportarono a dignità di lingua illustre. Così il “Portoghese “ lingua ufficiale in Portogallo, nella Galizia era invece un povero dialetto, finchè la Spagna le ha dato ufficialità. Così il “ Basso tedesco “ è lingua di Stato in Olanda e nelle Fiandre belghe, ma dialetto in Germania. Il Lussemburgo da poco ha riconosciuto al suo idioma “ Altotedesco “ la dignità di lingua del Granducato. Il “ Catalano“ - dialetto vituperato e addirittura proibito sotto la dittatura diFranco - è sempre stata lingua ufficiale di Andorra edè ancora una delle lingue riconosciute dallo Stato spagnolo. Da tutto ciòdiscende che la distinzione lingua-dialetto ha un valore soltanto “politico “, cioè se lo Stato le apre le porte della amministrazione e della scuola è “ lingua”; se invece è discriminata o addirittura perseguitata decade a “ dialetto”. Mentre il termine “vernacolo “ deriva dal latino “ verna“ che significa appartenere allo schiavo. Quindi, anche se nel linguaggio corrente è sinonimo di dialetto, suona spregiativo per tutti coloro che si battono per conferire la dignità di lingua al proprio idioma grazie alla produzione letteraria. Invece per “ lingua regionale“ si intende un idioma che pur avendo dignità di lingua non è lingua di Stato ma di una sua regione; così il “ Corso “ è una delle lingue regionali di Francia; e con la legge 482 del 1.999 la Repubblica Italiana ha riconosciuto come “ lingue “ degne di tutela il Sardo - il Friulano e il Franco Provenzale ma, purtroppo, non il Piemontese.

Perché è importante riscoprire, salvare e tutelare anche per legge le lingue minoritarie ?

Rispondo con le parole del massimo drammaturgo novantenne Miklos ( Corriere della sera, 22 luglio scorso, pag. 37 ). “Quando muore una lingua muore con lei un pezzo di umanità. Si perde la memoria di un popolo, di una cultura, di una visione del mondo. Mifa rabbrividire il fatto che in ogni angolo del mondo- per ragioni e cause diverse - si spengono ogni giorno tantissime lingue espesso lo sterminio dei portatori di queste lingue viene definito con un intollerabile eufemismo, “ pulizia etnica “. E anche “ progresso “ aggiungiamo noi. In questi giorni esce (editore Rubbettino ) l’ultima tragedia di Hubay “ Il resto è silenzio “ dove l’autore afferma:
“Nel dramma io racconto lamorte dell’ultima donna che parla una lingua ormai sparita. E l’ho dedicata a Jan-Luc Moureau, in ricordo della sua conversazione conl’unica rappresentante di una lingua considerata estinta“. Ci si batte per la biodiversità della natura, per la conservazione dei panda e, da noi, degli ultimi lupi ed orsi. Non si comprende perché non ci si dovrebbe preoccupare della estinzione che rischiano le nostre “ lingue regionali ” i così detti dialetti!". Su questa tematica sono stati scritti molti libri ma mi limiterò a segnalare “ Voci del silenzio “ (editore Carocci 2001) dell’antropologo Daniel Nettle e della sociolinguista Suzanne Romaine (università di Londra e Okford).

Cosa risponde a chi dice che il “ piemontese“ non ha dignità per essere considerata lingua ?

Il piemontese non è una deformazione dell’italiano ma è un idioma neolatino come le lingue illustri entrate a Palazzo tipo: italiano, francese, spagnolo, portoghese, retromancio, romeno, ecc .… Proprio come nella favola le sorelle di Cenerentola vanno alla reggia mentre lei - come i dialetti - è condannata ad accudire al focolare e a pascolare gli animali. Il piemontese si differenzia dall’italiano nella Fonetica avendo suoni che mancano alla lingua nazionale esempio: la eu di feu
- la u di fum
- la ndi cassin-a
- la ë di fëtta …
Nel Lessico, esempio: bornel = fontana; brandé = alari; travaj = lavoro … Nelle Strutture, esempiola negazione dopo il verbo anziché prima: chiel a travaja nen = lui non lavora … Possiede una tradizione letteraria illustre sin dal XII secolo con originali sviluppi nel XVIII ( Isler e Calvo ),
nel XIX (Brofferio e Bersezio) e recentissima (Nino Costa, Pinin Pàcot, Luigi Olivero e i poeti Brandè). Sin dal secolo XVIII possiede dizionari, grammatiche, antologie, traduzioni della Bibbia … Ha quindi tutte le carte in regola per essere riconosciuta come lingua degna di studio e di tutela.

Perché molti snobbano le lingue dialettali come cosa d’altri tempi e le ritengono inutili o dannose da insegnare a scuola contrapponendole a inglese, francese, tedesco, russo, cinese …

Perché sono succubi di sciocchi pregiudizi. Inglese, francese, tedesco, ecc … sono utili
per “ avere “maggiori opportunità di guadagno. Le nostre neglette lingue regionali sono utili per “ essere “, cioè per salvaguardare l’identità personale e per non essere ridotti a “robot “ ma donne e uomini vivi e liberi. La mente umana può acquisire la conoscenza di molte lingue, quindi per imparare le lingue internazionali non occorre dimenticare la propria ! Insegnando le lingue regionali si fa nascere nell’allievo un vero “ fiuto “ linguistico e una più precisa percezione dei fatti grammaticali. Si ammorbidisce il suo spirito strappandolo al monolitismo di una sola grammatica e di una norma dogmatica. Di questo bilinguismo “ verticale “ naturale si fa una scuola di formazione intellettuale. L’insegnamento dei dialetti - soprattutto di quelli più diversi dalla lingua nazionale - facilita l’insegnamento delle lingue estere. Non v’è affatto incompatibilità tra lo studio delle nostre lingue regionali, veicolo di una civiltà a un tempo intima e umanista, e quella delle relazioni internazionali. Non nuoce ad alcuno, al contrario sarà un aiuto perché l’allievo apre lo spirito sul mondo a partire dal suo ambiente umano e dal territorio dove vive. Inoltre, conoscendola letteratura regionale, gli allievi si divertiranno scoprendo le più belle audacie di coloro che scrivono nel linguaggio familiare. Troppo sovente essi considerano la letteratura come un mondo a loro lontano e soprattutto falso. Un insegnamento che si pretende democratico oggi infrange senza accorgersene il progresso intellettuale e ritarda la promozione sociale. Così che molti italiani si vergognano di parlare la lingua dei padri, arrossiscono delle loro origini contadine o montanare. Ma ogni onesto pedagogista deve riconoscere che occorre conferire ai ragazzi la fiducia in se stessi, la fierezza della loro origine e condizione popolare, e che è ora di finirla con questa alienazione ingiusta e crudele. L’allievo aprirà il suo spirito a partire del suo paese. L’università e la libertà della cultura saranno avvantaggiate perché così l’allievo affronterà senza squilibri psichici le grandi trasformazioni del nostro tempo e - conscio delle risorse ch’egli trova nella cultura locale soffocata dalla “ tecnica di consenso“ propria della società accentratrice e oligarchica - non potrà certo disprezzare o anche soltanto rifiutare i sistemi culturali stranieri ch’egli è chiamato a incontrare lungo la sua strada. Insegnandole lingue regionali si orienterà lo spirito giovanile verso un ideale di fraternità umana.

Perché e da quando lei ha la passione per il recupero storico culturale delle parlate regionali?

La libertà è stato il primo amore del mio cuore sin da ragazzo. L’amore per la diversità e quanto resiste all’omologazione mi ha affascinato da sempre. L’impegno diciamo “scientifico “ è nato con la mia tesi di laurea in diritto svizzero. Quando mi sono documentato sul rigore con cui nel Cantone dei Grigioni la lingua “ retromancia “ ( benché differenziata in cinque varianti e parlata soltanto da meno di 50 mila persone ) è tutelata nella scuola, nelle chiese, nell’amministrazione comunale, nella toponomastica. Se il pluralismo linguistico è gelosamente tutelato in Svizzera perché non dovrebbe esserlo anche in Italia ? Perché l’ecologia e la difesa dei monumenti e del paesaggio non dovrebbe comprendere anche la ricchezza della
varietà linguistica italiana ?
Perché dovrei rassegnarmi alla rapina del minus – valore …. dal valore “ lingua “ all’insignificante “ vernacolo“ ?

Quale è l’importanza dei vari periodici locali scritti in lingua piemontese ?

I periodici locali scritti in lingua piemontese sono la testimonianza che quello strumento linguistico non serve soltanto per comporre versi buffi o prose carnevalesche o poesie d’occasione. Ma anche per trattare di argomenti sociali, politici, storici, di criticaletteraria. E’ stata proprio una piccola rivista “Ij Brandè“ (Gli alari) pubblicata controcorrente nel 1927 in pieno clima di retorica fascista e di ostracismo ai “ vernacoli “ a costituire la rivoluzione culturale: da vernacolo a lingua capace di esprimere autentici valori d’arte. Il piemontese è l’unico idioma regionale che può vantare una sua pubblicistica. Venti anni dopo in Friuli P.P. Pasolini sarà promotore della stessa rivoluzione - da dialetto a lingua - grazie alla poesia. E ancora piùdi recente è la pubblicistica politica in “ Sa limba sarda “ ( ed io mi onoro di aver diretto “ Su populu sardu “ e “ Sa repubblica sarda “). Proprio nel nostro biellese dal 1974 esce la piccolissima rivista “ ALP - vos ëd l’arvira piemontèisa “ che ospita non solo poesie e prose di colore ma pure scritti politici ispirati alla civiltà alpina e operaia. Comunque è giusto non scordare quanti nel Biellese in modo particolare si prodigarono con passione e in tempi non molto favorevoli alla rivendicazione della lingua piemontese. E tra i miei più preziosi collaboratori voglio ricordare: il poeta materassaio Augusto Portiglia (che lasciò i suoi libri e i suoi risparmi alla pubblica Biblioteca di Biella) - l’operaio Alfredo Sola di Vigliano - Nello Casale di San Paolo Cervo e Pierino Macchetti di Quittengo - Giacomo Calleri detto Jaco di Graglia; i fratelli Nando e Renè Fiorio di Bioglio. E tra i poeti e gli scrittori viventi: Lorenzo Greggio - Enea Ribatto - Maria Pia Coda Forno detta Mapi - Giorgio De Montagu. Ma ad ogni modo il conforto maggiore è dai molti giovani ed agli insegnanti che oggi si prodigano per la riscoperta e valorizzazione della lingua piemontese nel nostro territorio provinciale.

Aldo Fappani


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