mercoledì 23 luglio 2008

LA LIBERTA’ RELIGIOSA IN ITALIA

a cura di Tavo Burat

Com’è noto, le “Lettere Patenti” del 17 febbraio 1848, allegate allo Statuto Albertino, non sancivano la libertà religiosa ma soltanto la tolleranza nei confronti dei Valdesi (e poco dopo anche degli Ebrei), ai quali dopo secoli di persecuzione e di discriminazione venivano riconosciuti i diritti civili, e quindi anche l’accesso alle professioni liberali (insegnanti, notai, avvocati, magistrati, ecc.), precedentemente interdette. In effetti un mese dopo, il 18 marzo 1848, l’Art. 1 dello Statuto Albertino precisava: “La religione cattolica apostolica romana è la sola religione dello Stato”. Nel giugno seguente, il principe di Savoia Carignano firmava il decreto in cui si affermava: “La differenza di Culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici, ed all’ammissibilità delle cariche civili e militari”. A Valdesi ed Ebrei era dunque appena tollerato celebrare i loro culti, ma non fuori dai ghetti (per i Valdesi, le loro Valli), nè potevano fare opera di proselitismo: il che non poneva problemi agli Israeliti, ma ostacolava invece la vocazione missionaria degli Evangelici impegnati a far conoscere la “buona novella”. I giovani cavourriani “chiusero un occhio” e tra le proteste cattoliche (in primis quella di don Giovanni Bosco) consentirono che i Valdesi nel 1851 elevassero il loro tempio a Torino; rimanevano quindi “fuori legge” gli Evangelici non aderenti alla chiesa Valdese, come le Chiese Libere dei Fratelli. Poichè non esisteva lo “stato civile”, il sacerdote cattolico, il rabbino o il pastore valdese (nelle Valli) erano gli unici depositari degli atti di battesimo ( e quindi di nascita), di matrimonio e di morte, con conseguenze facili da immaginare per gli evangelici “liberi”, i quali come per gli atei, non dipendendo da alcun ministro religioso e rifiutando il parroco (che comunque rifiutava loro!) rimanevano privi di Stato Civile e financo di sepoltura, perchè i cimiteri erano tutti di proprietà parrocchiale. Ma la mancata corretta tolleranza nei confronti dei culti acattolici era sancita dalla legislatura piemontese: per una semplice bestemmia, per un ingiuria al nome di Dio, era decretata la pena di reclusione, che poteva estendersi sino ai 20 anni di lavori forzati. L’Art. 164 del codice penale infatti sanciva che: “Chiunque con pubblici insegnamenti, con arringhe e con mezzo di scritti, libri, di stampe da esso pubblicati o spacciati, attacchi direttamente o indirettamente la religione dello Stato (cioè la chiesa cattolica romana) con principii alla medesima contrari, sarà punito con la relegazione.”. E’ manifesto che gli scritti protestanti affermavano principii contrari alla religione cattolica e quindi erano “corpi di reato” ed i loro autori e diffusori perseguibili. La pena si subiva nei castelli e nelle fortezze dello Stato. Famosi furono i casi dei fratelli Cereghino, cantastorie, arrestati per aver tenuto dei culti valdesi a Favale (Ge) e detenuti per molti mesi nelle carceri di Chiavari. Così a Pallanza fu arrestato l’avvocato Cattaneo perchè regalava libri del filosofo Ferrari; e un dott. Mazzinghi, reo di aver regalato a La Spezia a dei fanciulli copia della lettera di Paolo ai Corinzi, fu condannato a tre anni di reclusione; il Biellese Carlo Borrione, per aver diffuso un suo opuscolo in cui negava l’esistenza dell’inferno, fu imprigionato nel 1853 e languì per mesi in attesa di processo: sollevò il suo caso, nel parlamento alpino, l’on. Angelo Brofferio, alfiere delle lotte per i diritti civili (matrimonio civile, anagrafe municipale, abolizione della pena di morte, divorzio, ecc.); nel 1850 fu condannato a ben 10 anni di reclusione don Francesco Grignaschi, parroco di Cimamulera (No) reo di essersi fatto promotore di una setta millenarista; anch’egli fu difeso da Brofferio, che con un arringa esemplare perorò la causa di religione e di pensiero.
Il concordato del 1929 tra la chiesa romana e il regime fascista, ribadisce il principio del cattolicesimo quale religione dello Stato e dichiara che i culti non cattolici da “tollerati” diventano “ammessi”: In precedenza quando ancora Stato e chiesa erano separati, il regime fascista aveva imposto il crocifisso nelle scuole e negli uffici pubblici, tra il ritratto del re e quello del duce.
Il 1° gennaio 1948, l’Art. 19 della nuova Costituzione repubblicana afferma “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda, e di esercitare in privato o in pubblico il culto, purchè non si tratti di riti contrari al buon costume”. L’Art 7 stabilisce: “Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. Questo famigerato articolo, votato all’Assemblea costituente del 1947 da democristiani e comunisti, con l’opposizione dei socialisti, repubblicani e liberali, recepisce dunque il concordato mussoliniano e papista nella Costituzione repubblicana. D’altra parte l’Art. 8 dispone che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica romana, sono regolate per legge sulla base di “Intese” con le relative rappresentanze. Bisognerà attendere altri 36 anni (febbraio 1984) per la prima stipula di un Intesa, quella tra le chiese rappresentate dalla Tavola Valdese (valdesi e metodiste), e la Repubblica italiana (trattative per la modifica del Concordato e per l’attuazione dell’Art. 8 erano state avviate nel 1976). Lo strumento delle Intese non era stato richiesto in sede costituente dalle minoranze religiose, ma era stato “inventato” in sede parlamentare come contraltare all’Art. 7. Dieci anni dopo, due sentenze della Corte Costituzionale fanno cadere le norme della legislazione fascista del 1929 sui “culti ammessi”: Nel 1957 si abroga l’obbligo di preavviso per le funzioni in luoghi aperti al pubblico; nel 1958 l’autorizzazione per l’apertura di luoghi di culto e l’obbligo della presenza di un ministro di culto “approvato” dall’Autorità per la celebrazione di qualsiasi rito. All’Intesa con la chiesa valdese seguono quella con l’Unione delle chiese cristiane Avventiste (1986), con l’Unione delle comunità Ebraiche (1987), con l’Unione cristiana Battista in Italia (1993), con la chiesa Luterana in Italia (1993). Sospesa la stagione delle Intese, rimane il problema del “riconoscimento” per le confessioni rimaste senza. Per queste infatti, rimane in vigore la legge dei “culti ammessi”, pur corretta dalle sentenze della Corte Costituzionale. A tal riguardo, la sentenza 195 del 1993 afferma in via generale che non è ammissibile una discriminazione tra confessioni “con Intesa” e “senza Intesa”.
Dopo il 1987 si inizia a studiare un progetto di legge “generale” sulla libertà religiosa, approvato una prima volta nel settembre 1990 dal Consiglio dei Ministri dell’ultimo governo Andreotti, ma mai giunto in parlamento. Nel 1997, il governo Prodi presenta in parlamento, per la prima volta in via ufficiale, il disegno di legge sulla libertà religiosa, anch’esso rimasto lettera morta. Tra l’altro è da rimarcare come anche la tutela delle minoranze linguistiche, in attuazione dell’Art. 6 della Costituzione, ha dovuto attendere mezzo secolo per ottenere una legge (la 482 del 1999) di attuazione minimale e scarsamente funzionante, mentre il trattato europeo n° 148 (carta delle lingue regionali e minoritarie) del 1992, non è ancora stata ratificata dal parlamento. E’ quanto mai scandaloso l’incredibile ritardo nell’attuazione di principii costituzionali quali sono quelli della libertà religiosa e della tutela delle minoranze linguistiche.
Il Governo Prodi avvia pure le trattative con due nuove confessioni: l’Unione buddista e con i Testimoni di Geova. Le Intese vengono siglate nel 2000 (Governo D’Alema), ma mai approvate dal parlamento, che conferma così la sua ignavia. Rispetto all’ultimo Governo Andreotti il nuovo progetto di legge non è più considerato come una alternativa alle Intese e infatti, nel corso di quella legislatura, vengono avviati i colloqui per altre cinque Intese: chiesa Ortodossa, chiesa Apostolica, Mormoni, Soka Gakkai (Buddisti giapponesi), Induisti.
Nel febbraio 2001 è presentato il progetto di legge sulla libertà di coscienza e di religione licenziato dalla Commissioni Affari Costituzionali alla Camera, ma la proposta decade con la fine della Legislatura. Intanto vari esponenti delle chiese Evangeliche ribadiscono che tale legge-quadro, necessaria per abrogare definitivamente quella concordataria del 1929, non può comunque essere sostitutiva dello strumento costituzionale delle Intese, che rimane la via maestra.
Il !° marzo 2002 un nuovo progetto di legge riprende ampiamente quello della precedente Legislatura, ma non ha miglior fortuna: approvato dal Consiglio dei Ministri, non è votato dal parlamento.
Lo scorso Governo prodi sembrava intenzionato a chiudere questo lungo iter.
A partire dal 1848, il 1984 segna una sorta di spartiacque. Nel protocollo addizionale al nuovo Concordato si legge infatti che “si considera non più in vigore il principio, originariamente riportato nei Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato Italiano”. Tale affermazione è recepita dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che, con la sentenza n° 203 del 1989, afferma per la prima volta il “principio supremo della laicità dello Stato”. Ma sembra che ben pochi ne siano consapevoli in Italia, anche nel mondo politico, dove sembra si faccia a gara in piaggeria ed ossequio al Vaticano...
Va ancora ricordato che soltanto nel 2006, con la legge 24 febbraio, n. 851, le norme del codice fascista (il codice Rocco), capo I del tit. IV: “dei delitti contro la Religione dello Stato e culti ammessi”, sono state finalmente oggetto di revisione; l’Art. 403 c.p. “offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone”, che prevedeva la pena di reclusione sino a due anni, e “per chi offende la religione dello Stato mediante vilipendio di un ministro di culto cattolico” da uno a tre anni, ora è stato modificato con la sostituzione di pene pecuniarie. L’Art. 406 infine non distingue più tra religione di Stato e altre confessioni.
Manca soltanto il potere politico all’appello: certamente la libertà religiosa non è un diritto civile “relativo” contingente; non è corollario della libertà in generale ma è esattamente il contrario. E’ la libertà religiosa il fondamento della libertà generale (le minoranze religiose non chiedono “tutela” ma rispetto. Anche per i non credenti). La libertà religiosa è la “cartina tornasole” che prova la sincerità democratica di uno Stato.

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