sabato 26 luglio 2008

Meditazione del pastore valdese Gregorio Plescan

Evangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 5,1-16

Gesù guarisce un paralitico a Betesda

1 Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
2 Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. 3 Sotto questi portici giaceva un gran numero d'infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici[, i quali aspettavano l'agitarsi dell'acqua; 4 perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l'acqua in movimento; e il primo che vi scendeva dopo che l'acqua era stata agitata era guarito di qualunque malattia fosse colpito].
5 Là c'era un uomo che da trentotto anni era infermo. 6 Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?» 7 L'infermo gli rispose: «Signore, io non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me». 8 Gesù gli disse: «Àlzati, prendi il tuo lettuccio, e cammina». 9 In quell'istante quell'uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare.
10 Quel giorno era un sabato; perciò i Giudei dissero all'uomo guarito: «È sabato, e non ti è permesso portare il tuo lettuccio». 11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina"». 12 Essi gli domandarono: «Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina?"» 13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, perché in quel luogo c'era molta gente. 14 Più tardi Gesù lo trovò nel tempio, e gli disse: «Ecco, tu sei guarito; non peccare più, ché non ti accada di peggio». 15 L'uomo se ne andò, e disse ai Giudei che colui che l'aveva guarito era Gesù. 16 Per questo i Giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo; perché faceva quelle cose di sabato.

Scrive G.Plescan

Questo è il racconto di un miracolo.

Già questa constatazione solleva una serie di problemi: infatti il nostro approccio scientifico tende ad avere uno scetticismo istintivo rispetto a guarigioni “incomprensibili” e lontane dall’esperienza medica e il fatto che vi siano chiese e tradizioni cristiane che affermano con forza di “credere nei miracoli”, “oggettivamente” non aiuta, anzi, complica ulteriormente le cose perché solleva più domande di quante ne taciti (domande come “chi ha l’autorevolezza di dire cosa è miracolo e cosa non lo è?” oppure “perché qualcuno verrebbe oggettivamente guarito e qualcun’altro no?”). 

Al contrario di tutto ciò, i miracoli evangelici non sono mai né a sé stanti, né fuori da un contesto preciso: essi sono sempre degli eventi che portano sia il “beneficiario”, sia coloro che gli sono vicino, a pensare in modo nuovo e inatteso al loro rapporto con il mondo e con Dio e che, attraverso la vita e le opere di Gesù, vuole che le persone che lo incontrano abbiano un’esistenza più piena e meglio: il miracolo non è un gesto che semplicemente “salva” il malato nel suo universo privato, ma è un gesto che permette a tutti coloro che lo circondano di gettare uno sguardo nuovo sulla loro stessa vita. 

Questo racconto parla della vicenda di un uomo che è sempre stato malato.

È così gravemente immobilizzato, da dipendere in tutto e per tutto dalla buona volontà altrui, siano essi umani (le persone che lo portano a bordo della piscina), sia divine (l’angelo che potrebbe mutare la sua sorte). 

Con queste espressioni, solo apparentemente ingenue, il racconto mostra un realtà triste ma facilmente sperimentabile: non sempre il confronto con la sofferenza altrui crea solidarietà, ma a volte crea concorrenza e disinteresse o “carità pelosa”. 

Ma questo non è un testo di denuncia della cattiveria umana, è il 

racconto di un miracolo che Gesù compie.

Gesù non è mai stato né sdolcinato e piamente menzognero, e la sua domanda iniziale al malato ci porta subito al centro della questione. 

Apparentemente la domanda ha una sfumatura quasi provocatoria, quasi da sembrare fuori luogo: “vuoi essere guarito?”. 

Sembra una presa in giro: quale malato non vorrebbe essere guarito?

In realtà è una domanda molto seria, se pensiamo che attorno all’universo della malattia girava una discreta “economia finanziaria” (quella dei mendicanti e dei medici) e un’altrettanto florida “economia spirituale” (quella di chi si sente di aver fatto il suo dovere religioso dando le elemosina). 

Inoltre il malato aveva un ruolo “sociale”, perché aiutarlo significava “comportarsi bene”, mettersi a posto l’anima (e, ammettiamolo, la cosa fa piacere in ogni epoca storica). 

A pensarci bene questo non è cambiato: anche lasciando da parte le questioni di malasanità, possiamo anche ricordare che a tutt’oggi una situazione di profondo disagio finisce per catalizzare certi sentimenti di tutti, per cui dando la colpa delle cose che non vanno alla malattia, alla malasorte, alle reazioni del malato o all’insensibilità dei sani… 

In un certo senso la domanda “vuoi essere guarito?” non è affatto peregrina, perché porta con sé altre domande, magari mai espresse chiaramente ma sempre collegate, vale a dire “accetti di cambiare ruolo”, da malato a sano, da vittima da compatire a persona normale, da parafulmine a cui tutto è permesso perché “poverino, è malato” a persona che può anche avere torno e deve combattere per aver riconosciuto il diritto al posto alla tavola di quelli che fanno e sbagliano? 

Tu, che sei da sempre “così, poverino”, accetti di avere torto o ragione ma che in ogni caso deve prendersi le sue responsabilità nel mondo? 

“Vuoi essere guarnito” non è solo una domanda rivolta a un corpo, ma a tutta una persona: “vuoi che la tua vita sia radicalmente cambiata, nel bene ma verso un futuro ignoto?”. 

Ciò che rende bello e vero il vangelo è che anche le storie più incredibili mostrano un lato così reale da essere quasi banale: la risposta che dà il malato è esattamente quella che può dare una persone nelle condizioni di un malato così – e questo dimostra anche quanto profondamente Gesù ha capito la situazione. 

Infatti il malato risponde: “io sarei anche disposto a guarire nel senso indicato da Gesù, ma la solitudine mi immobilizza”. 

L’uomo è immobile fisicamente (nessuno lo butta in acqua), ma anche spiritualmente (e ce ne accorgiamo quanto sentiamo le reazioni della gente, che non gioisce per la fine di una sofferenza, ma al contrario protesta per una guarigione abusiva, avvenuta al momento sbagliato): non è il contesto religioso che gli permetterà di “muoversi”, ma l’incontro personale con Gesù. 

Non sei né tu, né il tuo contesto (religioso, culturale) che fa i miracoli…

È Gesù che fa i miracoli.

E li fa in maniera semplice ma unica, tramite la parola: alzati.

La semplicità non è data per opprimerci, per farci sentire ancora più impotenti di fronte alla sofferenza, ma piuttosto è un veicolo dell’unicità di Gesù: con la parola “alzati” ricorda che Dio agisce attraverso la parola. 

La guarigione del malato è una nuova creazione, una risurrezione a nuova vita egli si rialza. 

Si rialza da un mondo vecchio (la piscina, gli angeli che non arrivano, gli amici che si fanno le scarpe gli uni gli altri) e va verso un mondo nuovo. 

Non vive più nel luogo della che lo teneva imprigionato – in cui egli stesso si teneva imprigionato. 

Parlare di malattia, guarigione ecc. non né facile, perché la la malattia non è una parola del passato, ma spesso è una dolorosa e angosciante realtà. 

E spesso anche nel nostro tempo malattia e guarigione vanno di pari passo con il giudizio – non necessariamente quello moralista, ma anche semplicemente quello che ha a ché fare con il pensiero “ho fatto abbastanza per me e per gli altri”? 

E, altrettanto spesso, purtroppo, la fede non guarisce, o se lo fa, non lo fa in maniera immediata e immediatamente visibile.

Per questa ragione il miracolo è ancora significativo e non ancora superato dal nostro tempo: perché Gesù ci mette di fronte alle domande reali – quanto e come ci sentiamo “malati”, quanto e come vogliamo “guarire”, e ci ricorda che possiamo farlo. 

Non con la bacchetta magica, certo, ma con l’offerta della possibilità di alzarci e affrontare le domande vere – anche possono anche essere “solo” quelle che hanno a che fare con la nostra capacità di riconoscerci deboli, bisognosi d’aiuto, soli… bisognosi di una spinta che ci butti nella vita. 


gplescan@chiesavaldese.org

1 commento:

maurizio abbà ha detto...

Un grazie forte forte al pastore Gregorio Plescan
per il servizio di coordinamento omiletico che svolge
al servizio dei singoli e delle Comunità.