giovedì 21 agosto 2008

Per una Chiesa Riformata



Giovanni Calvino scrive l’lnstitutio Christianae Religionis in cui presenta in forma puntuale i principi della fede evangelica,
(tratto da una stampa ottocentesca) 
www.riforma.it



Essere calvinisti in Italia



1509-2009: l’anniversario del Riformatore francese è una preziosissima occasione culturale per far conoscere la teologia e le idee che hanno trasformato la società


Giuseppe Platone

NEL novembre 1967, quand’ero fresco d’iscrizione alla Facoltà valdese di Teologia, il professor Valdo Vinay, alla prima lezione di storia, mi chiese di riassumergli (in cinque pagine dattiloscritte) una biografia in francese su Giovanni Calvino. «Comincia da qui – disse – perché Calvino è la chiave giusta per cogliere il senso profondo del protestantesimo». Quell’imperativo – a distanza di quarant’anni – mi è rimasto dentro, quasi a dire: «siamo dei protestanti calvinisti, questa la nostra identità spirituale e culturale». Ma lo siamo veramente? Tra qualche mese avremo occasione di ritornare su questo interrogativo.
Il 500° anniversario della nascita del Riformatore di Ginevra, che ricorderemo nel corso del 2009, dovrà saldare un duplice debito d’ignoranza nei confronti di Calvino: uno interno alle nostre chiese e l’altro esterno. E su questo punto occorre dire un primo grazie alla Claudiana che ha già messo, da tempo, in cantiere la pubblicazione di alcune opere scelte di Calvino. Abbiamo, per nostra fortuna, a suo tempo curata da Giorgio Tourn, la traduzione in italiano dell’Istituzione della religione cristiana in cui Calvino espone in forma chiara e profonda le sue idee guida. Le stesse che ebbero un influenza notevole nel cristianesimo e nel mondo. In Italia Calvino non è conosciuto. Compresso nell’interpretazione weberiana o liquidato come un dittatore religioso che condannò il povero Serveto a morte, è di fatto nel nostro paese o caricaturizzato o ignorato. Essere calvinisti, nell’immaginario collettivo, rinvia a uno stile di vita arcigno, fatto di rigore, puntualità, accanimento sul lavoro, disciplina. Un cliché. Si presenta dunque per noi, cogliendo il prossimo 500° della nascita di Calvino un’ineludibile sfida culturale: riappropriarci di Calvino e farlo conoscere. Non un operazione museale, piuttosto riformulare la teologia di Calvino per il nostro tempo. E sopratutto discuterlo.
Uno dei tratti più coinvolgenti del pensiero calvinista è proprio la continua discussione intorno ad una chiesa che è sempre da riformare. Con Calvino non ci troviamo immersi in una dogmatica statica, fissista. L’unico assoluto, sacro, è Dio. L’unico padrone della chiesa è Cristo, tutto il resto è discutibile, riformabile sulla base dell’ispirazione che deriva dalla Scrittura. A volte gli anniversari sono utili per riscoprire, ricomprendere, rilanciare anche in chiave critica, il pensiero di un autore. Si vedano a quest’ultimo proposito, le manifestazioni organizzate nei mesi scorsi sulla figura del pastore battista afroamericano Martin Luther King, nel 40° del suo assassinio. Gli appuntamenti, anche internazionali, costruiti dall’Unione delle chiese battiste italiane, e i dibattiti, le conferenze, i concerti, i culti organizzati in tutt’Italia sono state occasioni preziose per far conoscere il pensiero e l’azione di Martin Luther King. Non quindi il culto del personaggio ma i contenuti che esprime. E debbo dire che non si è trattato solo di mera ripetizione di cose risapute.
A questo proposito penso alle pagine di Paolo Naso (Come una città sulla collina, Claudiana 2008) che ci ha fatto incontrare un King figlio, in qualche modo, della tradizione puritana e del movimento per i diritti civili negli Usa. Su King c’è stato uno sforzo corale d’indagine e un approfondimento che ci ha aiutato a vedere il personaggio senza intenti apologetici ma cogliendolo nella sua umanità e contraddittorietà. Su Calvino e sul calvinismo c’è molto da dire, non pretendo certo di riassumerlo in poche righe. Spero comunque, a proposito del grande riformatore, che ci sia da parte nostra un approccio teologico. Perché Calvino è stato soprattutto un teologo, certo, e il calvinismo è stato un fiume in piena che ha cambiato l’Europa; ha cambiato culture, economie, politiche ha influenzato la scienza. Non è un caso che il moderno rispetto per l’ambiente nasca in Paesi a tradizione riformata.
Ma della straordinaria potenza trasformatrice del pensiero di Calvino penso che, come chiese, dovremmo sottolineare il tema della vocazione personale. Dio ha per ciascuno di noi un disegno, un progetto. Si tratta di scoprirlo e viverlo con autenticità. È la nostra vita, nei suoi risvolti etici, che parla del nostro essere calvinisti. Sono le nostre chiese, nel loro radicarsi nella società italiana, nell’essere lievito di trasformazione, che dimostrano come il parlare di Dio cambi il mondo. Cittadini del regno di Dio, «amateurs de Jésus Christ», ma con i piedi piantati saldamente a terra, mossi da progetti di giustizia e di verità. Siamo gli eredi dell’assemblea di Chanforan, quando i valdesi, nel settembre del 1532, aderirono alla Riforma di stampo ginevrino. E il primo gesto di quell’adesione fu raccogliere una cospicua somma di denaro per finanziare la traduzione della Bibbia. E Calvino vedrà in quel gesto il più grande dono che una piccola diaspora cristiana dissenziente potesse fare alla causa di Dio.
Siamo ancora qui come artefici del «dresser l’église» valorizzando la Bibbia, lo Spirito, la democrazia, evitando di divinizzare le gerarchie e mettendo in gioco i doni di ciascuno nel governo della chiesa. Senza protagonismi debordanti. Lo stesso Calvino è sepolto in un luogo anonimo. Siamo insomma «servi inutili», e quando indugiamo nell’esaltazione dei personaggi, anche nel nostro piccolo mondo, è perché non abbiamo fiducia in Dio, ne abbiamo troppa in noi stessi. I deliri individualistici, nelle nostre piccole tribù, son difficili da sradicare. Dovremmo, calvinisticamente, avere l’umiltà di spostare l’ascolto da noi stessi a Dio, di spostare il centro da noi stessi agli altri e imparare a portare il nostro mattone al progetto comune di «risurrezione della chiesa». Dovremmo lavorare di più insieme e non sgomitando gli uni contro gli altri.
Io non credo che le idee, le intuizioni teologiche di Calvino siano una nostra esclusiva. Calvino appartiene ormai all’intera cristianità, alla società. Ci sono molti tratti della teologia di Calvino, 500 anni dopo gli eventi, che sono ormai condivisi da tutte le chiese. Si tratta quindi anche di ragionare in termini ecumenici nuovi, non di costruzione di un modello unico, ma di un contenitore che raccolga le diverse ecclesiologie, le diverse tradizioni teologiche nel legame profondo della comunione in Cristo. Non è vero che Calvino non tenesse all’unità della chiesa, che per lui cominciava da quella locale, specchio di quella universale. Se non funziona lì, non funziona neppure altrove. Partiamo da noi, cercando di vivere quello che predichiamo e che decidiamo nelle nostre assemblee ecclesiastiche. Evitiamo di separare ciò che diciamo da quello che facciamo. Calvino ci spinge all’unità, tra il dire e il fare, tra riflessione e azione, tra Parola e parole, tra Spirito e etica. Siamo figli di questa successiva fase della Riforma, quella di Calvino appunto, più giuridica, umanista, più ecclesiasticamente essenziale, cristocentrica senza orpelli. Spetta a noi raccontare oggi in Italia questa ricca realtà riformata, che si esprime anche attraverso la vita delle nostre piccole chiese. Se siamo calvinisti dimostriamolo.


citazione da:
- in internet: tratto da www.riforma.it in data 20 agosto 2008, ore 23;
- nella versione cartacea dell'importante settimanale delle Chiese Battiste, Metodiste, Valdesi:
Riforma L'Eco Delle Valli Valdesi, anno XVI - n. 32 - 22 agosto 2008, pp. 1 e 11.

1 commento:

maurizio abbà ha detto...

Il settimanale RIFORMA costituisce un elemento prezioso per il dibattito tra le Comunità Evangeliche
e delle Chiese Protestanti con la società italiana.