lunedì 18 agosto 2008

SINODO 2008

Intervista di Giuseppe Platone a Maria Bonafede, Moderatore della Tavola valdese

LA MISSIONE DEI PROTESTANTI NEL NOSTRO PAESE

I principali temi di discussione e decisione che si affronteranno dal 24 al 29 agosto durante la Sessione europea del Sinodo valdese - Prospettive e impegni delle chiese

Mancano pochi giorni all’apertura del Sinodo, la relazione della Tavola è già pronta. La Commissione d’esame che passa a setaccio tutta la documentazione di un anno di lavoro sta scrivendo la propria relazione. E dal confronto di queste due relazioni prenderà le mosse il dibattito sinodale. Ma intanto chiediamo qualche anticipazione al Moderatore sui gangli vitali del mondo valdese e metodista italiano.

Il primo interrogativo è: che cosa bolle nella pentola del Sinodo, quali sono insomma i temi prioritari di questa imminente sessione europea?
«Senz’altro il tema della predicazione e testimonianza delle nostre chiese valdesi e metodiste in Italia affrontato da molti punti di vista. Uno è quello del senso di una presenza protestante nel nostro paese. Una commissione nominata dalla Tavola ha formulato cinque tesine sul nesso tra fede e vita dei credenti, tra pensiero cristiano protestante e radicamento nelle coscienze di modi di pensare e di vivere forgiati da questo pensiero. Le chiese hanno cominciato a discutere e cominciano ad arrivare reazioni interessanti. Sia che si affronti il dialogo tra le generazioni, sia che si pensi al contributo specifico del pensiero femminile e di quello maschile e al loro intreccio, sia che si rilegga la storia d’Europa, sia che ti occupi di cinema o di teatro, di dialogo con la scienza, c’è un’impronta protestante che ha forgiato pensiero e decisioni sulla quale è necessario riflettere anche per trovare la nostra strada oggi, negli anni in cui viviamo, nelle nostre case e nelle nostre chiese. Che cos’è la cultura se non questo nesso che dà senso alla vita e che rende ragione della propria fede?

Quindi il tema centrale del Sinodo, di ogni Sinodo, è il senso della nostra presenza di piccola chiesa protestante in Italia. Siamo realtà numericamente irrilevanti, chiese talvolta meglio strutturate nelle grandi città, talvolta con una storia e un grande patrimonio culturale di cui portare responsabilmente testimonianza come alle valli valdesi, talvolta con una fragilità che fa stupire e ringraziare Dio per la sopravvivenza di alcune piccole comunità, eppure esistiamo anche come piccolo avamposto di un pensiero e di una fede secolare e rilevante nel mondo e in Europa: quanta e quale consapevolezza abbiamo di tutto ciò? Forse più di quella che appare, forse più di quanto crediamo, o forse non abbastanza.

Poi ci sono i temi legati alla vita del paese, a questo impressionante «tolleranza zero» che il governo dice sulla criminalità ma che lega in modo improprio e pericoloso all’immigrazione; poi c’è il Sud d’Italia e la nostra testimonianza in quelle zone, poi c’è il Nord-Est del Paese che per noi significa chiese che triplicano e chiese che nascono grazie all’arrivo di fratelli e sorelle africani, molti dei quali protestanti già nei loro paesi. Vedremo, molto dipende anche dalle priorità che la Commissione d’esame sceglierà»

Tre nuove consacrande al ministero pastorale, un segno di speranza; sappiamo però che i pastori sono in numero inferiore rispetto alle esigenze. È proprio vero che mancano i pastori?
«In questi ultimi anni è effettivamente calato il numero dei pastori e delle pastore per varie ragioni (pensionamenti, trasferimenti all’estero, malattia, qualche abbandono) e forse gli ingressi di nuove forze non sono stati sufficienti a coprire il fabbisogno. Però va anche detto che noi siamo abituati bene ad avere un pastore per ogni chiesa e quando più di una chiesa è affidata alla cura di un solo pastore sembra già una privazione. All’estero la situazione certamente è diversa, ma ci sono parrocchie di migliaia di persone curate da due pastori o da un tempo pieno e un mezzo tempo. Comunque la cosa più importante credo che sia che i pastori curino molto la loro preparazione e l’aggiornamento e che amino le chiese che sono loro affidate o che li hanno eletti; e d’altra parte che le chiese sappiano valorizzare la presenza pastorale dandosi da fare anche in prima persona per creare spazi di predicazione e di testimonianza nei luoghi in cui vivono. Insomma i pastori e le chiese vivono insieme e stimolano il proprio pensiero e le proprie idee collaborando. Un problema sempre più difficile da risolvere è la mobilità dei pastori e delle pastore: c’è l’esigenza dei coniugi di lavorare e non tutte le zone d’Italia offrono opportunità di lavoro, ci sono i figli e le figlie con le loro esigenze, ci sono i genitori anziani che non si possono lasciare senza cure e ci sono pochi soldi. Per questo deve essere chiaro ai più giovani che loro, che normalmente hanno meno problemi oggettivi, devono essere molto disponibili al cambiamento e al servizio in sedi diverse. Ma anche questo non è affatto scontato e qualche volta è così difficile riuscire a coprire tutto il campo di lavoro che ci si scoraggia. Dico questo con molto rispetto per i motivi e le obiezioni dei colleghi e delle colleghe: qualche volta forse manchiamo della necessaria fiducia che la vita non è solo il frutto della nostra organizzazione e previsione, ma l’intreccio di questo con l’azione di Dio e con le sue scelte. Forse è un discorso che sembra astratto, ma io ci credo».

L’Unione delle nostre chiese gode di un forte credito rispetto alle quote dell’otto per mille. C’è stato un significativo aumento: come lo interpreta?
«Per un verso è il frutto di una grande chiarezza nella pubblicazione al centesimo di come abbiamo speso i proventi dell’otto per mille: molti ce lo hanno detto. Poi c’è il fatto che non impieghiamo quel denaro per gli stipendi pastorali e per la vita delle chiese: cerchiamo cioè di spendere quel denaro per il servizio del prossimo, per la cultura, per il cosiddetto terzo mondo. Il che non significa che non sappiamo che tanta parte della nostra diaconia (scuole per l’infanzia, asili per gli anziani e disabili, opere sociali in genere) o della nostra cultura (librerie Claudiana, Centro culturale valdese, riviste) non esisterebbe nella misura che ha oggi se non ci fosse l’otto per mille. Ma va detto che anche queste cose sono in gran parte al servizio di tutti e che i contributi pubblici sono sempre meno e sempre più in ritardo. E poi, appunto, è tutto chiaro e pubblico il nostro utilizzo, e tante associazioni laiche o religiose fanno cose meravigliose con il nostro otto per mille. Poi c’è stato il fatto che molti intellettuali laici e cattolici hanno promosso la firma per i Valdesi in polemica con le posizioni spesso oscurantiste assunte dalle gerarchie cattoliche. Comunque viviamo questo aumento come un aumento di responsabilità nei confronti di tutti e con la consapevolezza della fiducia che riceviamo».

Stiamo attraversando settimane difficili sulle questioni riguardanti gli immigrati e la sicurezza. Le nostre chiese vivono di immigrazione nel senso che molte di loro hanno visto crescere in modo significativo la loro consistenza grazie a nuovi arrivi. C’è però nel paese un aria brutta di rigurgiti razzisti, di paura. Non vogliamo fare i buonisti ma neppure cedere a spinte xenofobe. Che cosa ne pensa?
«Penso che le chiese debbano vigilare e diffondere una cultura che valorizza le differenze, l’accoglienza e l’ospitalità. Non siamo ingenui e non possiamo esserlo, ma c’è una brutta aria e il razzismo è una malattia da cui l’Italia non è esente, come le leggi razziali fasciste ci ricordano. Il razzismo è figlio di una combinazione di indifferenza, egoismo e paura e noi abbiamo molti strumenti per combatterlo. Ci aiuta molto anche il Servizio Rifugiati e migranti della Fcei, che ci informa puntualmente sui fatti, sulle leggi e i decreti di volta in volta e cui si può chiedere consiglio. Ci aiuta avere molti fratelli e sorelle stranieri nelle nostre chiese, ci aiutano i moltissimi rapporti internazionali che da sempre sono una parte consistente della vita spirituale della nostra chiesa».

Noto anche nel mio lavoro che molti si rivolgono a noi, chiedendoci la nostra opinione ufficiale su questioni di bruciante attualità; penso all’eutanasia, al divorzio, alla ricerca sulle cellule staminali. Ma noi non produciamo documenti ufficiali a ogni piè sospinto, non siamo la fotocopia al contrario del magistero cattolico. Forse non riusciamo a soddisfare le attese, siamo troppo articolati…
«Non credo, anzi c’è chi pensa che diciamo anche troppe cose. Comunque le nostre posizioni articolate che tengono conto di molte cose, sono apprezzate e alla fine convincenti. Non gettiamo slogan, e meno male, però riusciamo a prendere posizione in modo chiaro e spiritualmente serio. Penso a esempio alla recente dichiarazione della nostra commissione di bioetica sul caso di Eluana Englaro: una dichiarazione chiara, profonda ed evangelica».

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