Il grande regista spagnolo Luis Buñuel, noto anticlericale, era tuttavia un profondo conoscitore del cattolicesimo e della dottrina cristiana, compresa la storia delle eresie. Nel film «La via lattea» (1968), che utilizza come trama narrativa il pellegrinaggio di due barboni verso Santiago de Compostella, l’autore tratteggia una vera e propria storia delle eresie e dei dogmi a cui esse hanno fatto riferimento nel corso dei secoli.
Il cammino di Compostella è oggetto di uno dei più complessi, originali e celebrati film di Luis Buñuel, La via lattea (1969), realizzato in Francia come tutti gli ultimi del regista. «Via lattea», spiega una voce fuori campo commentando nella prima sequenza l’itinerario visualizzato su una carta geografica, significa via della stella, cioè latinamente Campus stellae, da cui il nome della località dove un astro avrebbe indicato a dei pastori il luogo in cui si trovava il corpo di San Giacomo. Si era nel VII secolo.
Due vagabondi, nel film, si recano in pellegrinaggio da Parigi a San Giacomo de Compostella: lungo il percorso, secondo la tipologia classica del romanzo picaresco spagnolo (come il celebre Lazarillo de Tormes) incontrano una serie di personaggi (alcuni verosimili e reali, altri immaginati, altri ancora appartenenti alla Storia) che hanno tutti, in un modo o nell’altro, a che fare con l’eresia. Nella ricostruzione che dell’opera fa Maurice Drouzy, gesuita e storico del cinema (Luis Buñuel, architecte du rêve, 1978), autore anche di una bella monografica sul regista protestante Carl Th. Dreyer la casistica degli «incontri» e delle disquisizioni in materia di eresia coinvolgono: Priscilliano (primo eretico messo a morte nel 385) e la sua comunità; il marchese De Sade e Teresa, sua prigioniera; un gruppo di monaci inquisitori; un gruppo di suore convulsioniste; un gesuita e un giansenista che si affrontano a colpi di spada e di affermazioni teologiche; due studenti spagnoli; un vescovo spagnolo con i suoi fedeli. Ma anche altri personaggi, non legati alla storia passata ma contemporanei ai protagonisti, si fanno portavoce di dibattiti dottrinali: in particolare un parroco che discute della transustanziazione con un brigadiere in una locanda (e viene poi caricato sull’ambulanza da due infermieri di una casa di cura per malati di mente); il maître di un albergo che, sovrintendendo alla preparazione di tavoli sdottoreggia con i camerieri a lui sottoposti della natura di Cristo e della Trinità (salvo dire, tra una lezione e l’altra: buttate via questa pera, non vedete che è marcia?); le piccole allieve di una scuola privata, l’«Institution Lamartine»), che ripetono, quale recita di fine anno, una serie di anatemi ai danni di chi sostenga delle «false dottrine»; una prostituta che accoglie i clienti alle porte di San Giacomo, più altri minori.
È stata giustamente celebrata la sequenza del duplice duello, intellettuale a colpi di ragionamento filosofico, e di fatto a colpi di spada, tra un giansenista e un gesuita (oggetto della disputa è la dottrina della Grazia). Al primo («È un errore semipelagiano sostenere che Gesù Cristo sia morto per tutti gli uomini indiscriminatamente! », il secondo replica «Voi fate offesa alla bontà divina! Cristo è morto per dare a tutti gli uomini l’aiuto sufficiente alla salvezza»). Il bello è che poi i due interrompono la tenzone e se ne vanno sottobraccio.
Ma va ricordato anche il giovane monaco turbato dai metodi impiegati dall’inquisizione con un eretico che respinge la dottrina del Purgatorio, la cresima e l’estrema unzione. Riceverà risposta dall’inquisitore: «Ma è la giustizia degli uomini che li punisce! È il braccio secolare! Gli eretici non sono condannati perché sono eretici, ma per le sedizioni e gli attentati che perpetrano a danno dell’ordine pubblico!». Conosciamo questa «chiarificazione». E l’elenco delle situazioni potrebbe continuare, ma l’intento è chiaro: con lo stile maturo e «piano», privo di ricercatezze formali, ma per questo più incisivo, che tratta allo stesso modo sogno e realtà (senza cioè segnalare con sfocature, musiche misticheggianti, effetti ottici o speciali che si passa a un altro piano del discorso), Buñuel svela gli intrecci tra dibattito teologico e potere, tra affermazione o negazione della dottrina e comportamento sociale.
Inoltre il film propone tre scene di tipo biblico che rappresentano, nella ricostruzione di Drouzy: Gesù incamminato alla volta di Cana con i discepoli («Chi sono mia madre e i miei fratelli? » – Matteo 12, 46-50; Marco 3, 31-35); le stesse nozze di Cana, là dove Gesù racconta la parabola del fattore infedele (Luca 16) e poi muta l’acqua in vino (Giovanni 2), ma senza che vediamo le conseguenze del miracolo; Gesù che richiama Pietro («Via da me, Satana» – 16, 24), guarisce i nati ciechi (Matteo 9, 27-30; Marco 8, 22-25) e afferma di essere venuto per portare non la pace ma la spada (Matteo 10, 34-36).
Molte sono state le interpretazioni di questo e degli altri film di Buñuel: la chiave della Via lattea sembra risiedere nel lavoro di analisi che il regista fa sui modi in cui si formano, si fortificano, si propagandano le convinzioni i «credo» le certezze. Al regista di Calanda tutto questo interessava, ovviamente, per mettere in discussione e anche alla berlina (le discussioni teologiche avvengono nei luoghi più improbabili) le certezze stesse: questo spiega la costruzione di tutto un film sulla traccia di una ricca, se pure forzatamente incompleta, serie di eresie. Drouzy insiste giustamente sul fatto che «i concetti di eresia e di ortodossia, la qualifica di benpensanti e mal-pensanti non sono nozioni assolute e immutabili, ma termini relativi» (op. cit., p. 159): si è sempre «eretici rispetto a qualcuno». Inoltre più volte nel film lo spartiacque corre fra conformisti e non-conformisti, fra «credenti come gregge e credenti marginali»; e allora, si spinge più in là il critico gesuita, con una lucidità che fa difetto a molti laici, «tutto il film è impostato sull’opposizione tra dogmatici e anti-dogmatici» (p. 161).
Per questo, probabilmente, Buñuel colloca le dissertazioni dottrinarie in contesti anomali e certo non accademici: la vera, la più profonda riflessione sulla materia del credere, dunque, anche agli occhi di un ateo impenitente, passa per la vita concreta e non per i banchi di un luogo consacrato; la fede innerva i comportamenti (giusti o sbagliati che siano) e non è materia di dialettica professorale – quando lo è, come nel caso del maître d’hôtel, la situazione si rivela subito come grottesca. Un insegnamento non da poco per tutti.
(tratto dal settimanale RIFORMA, anno XVI - numero 32 - 22 agosto 2008, p. 4).
1 commento:
La Spiritualità attraversa anche il mondo del Cinema.
Occorre acutezza ed esercizio per leggere i film
riscoprendo le Domande che caratterizzano la ricerca della Fede.
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