In vista dell'incontro pubblico con il Corpo pastorale nell'aula sinodale
TRE DONNE TEOLOGHE ALL'«ESAME DI FEDE»
Itinerari ed età diverse che confluiscono, al termine degli studi alla Facoltà valdese di teologia, nella richiesta di essere consacrate al lavoro pastorale nelle chiese valdesi e metodiste
Tre donne. Con tre storie diverse, età diverse, ma accomunate dalla stessa passione per la causa di Dio nella nostra società. Diamo loro la parola così come sarà loro data, sabato 23 agosto, per il cosiddetto «esame di fede» nell'austera Aula sinodale di Torre Pellice. Superato quest'ultimo esame, di fronte al Corpo pastorale riunito in seduta plenaria, le tre candidate verranno consacrate al ministero pastorale nel corso del culto d'apertura del Sinodo domenica 24 agosto. Riportiamo, dal settimanale Riforma, qualche rapida pennellata della loro autobiografia: anche in vista dell'incontro pubblico che si terrà a Torre Pellice alla vigilia del Sinodo, è un modo di far conoscere ai membri delle nostre chiese i loro tre diversi itinerari, che confluiscono nella stessa richiesta di poter fare parte della compagnia dei pastori e delle pastore valdesi e metodiste e quindi dedicare tutta la loro esistenza al lavoro della testimonianza.
E' un segno di speranza, un segnale forte e positivo per la comunione delle nostre piccole comunità sparse nella penisola. Nuove persone si preparano con cura nel corso degli anni, attraverso studi universitari ed esperienze specifiche legate al lavoro pastorale, anche in sedi internazionali, per portare avanti con competenza e disponibilità i compiti, la missione delle nostre chiese oggi in Italia.
GIUSEPPINA BAGNATO: MOSTRARE A TUTTI CHE IL VANGELO E' PAROLA VIVA E OPERANTE
Non ho mai considerato la fede come un qualcosa di scontato. Sono cresciuta in una comunità del Sud i cui membri davano molta importanza alla predicazione di Dio nelle proprie vite: una predicazione che lasciasse segni tangibili fra la gente in azioni e accoglienza. Ricordo il periodo dell'adolescenza come quello più difficile e ricco. Le contestazioni, la voglia di sapere, il non sentirsi mai abbastanza considerati e il voler capire perché nel fare il bene ci si debba riallacciare alla fede in un Dio anziché parlare semplicemente di un agire civile.
Oggi guardo ai ragazzi e alle ragazze di questa generazione che non è più la mia e io, che sto lavorando in due chiese prive della loro presenza, sento che stiamo venendo meno a un'importante missione. Manca il contatto diretto con il loro mondo complesso e affascinante e penso a me, a quando avevo la loro età, a come sarei cambiata se il pastore e il centro giovanile che allora frequentavo non mi avessero dato la possibilità di esternare il mio malessere e i miei dubbi con sincerità: erano gli unici spazi in cui ragazzi e ragazze credenti come si può esserlo a quell'età - in ricerca onesta - e non credenti, potevano sentire che Dio se c'era, non li avrebbe giudicati perché diversi dai propri padri.
L'anno scorso ho partecipato a un seminario a Josefstal in Baviera. Il tema, basato sul Salmo 78 («Quel che abbiamo udito, e conosciuto e che i nostri padri ci hanno raccontato, non lo nasconderemo ai loro figli; diremo alla generazione futura le lodi del SIGNORE, la sua potenza e le meraviglie che egli ha operato») ci interrogava su Come passeremo la fede alle nuove generazioni. Mi sembra che oggi le famiglie non sappiano più raccontarsi e che Dio sia relegato alla sfera del «sacro e dalla catechesi» di cui «ovviamente» per molti il pastore dovrebbe farsi mediatore e portatore. Se la mia esperienza fosse stata questa, non sarei qui oggi.
Al contrario, è stata la scoperta della testimonianza che ognuno poteva condividere con me ad avermi formata. Oggi ho più coscienza della mia fede: momenti grandi e difficili con questo Dio che mi sconfigge sempre all'alba presso Peniel. Ascolto le persone: tanti credono di sapere che cosa sia la Chiesa e come dovrebbe funzionare. Altri questa Chiesa così com'è proprio non la capiscono: non vedono continuità con il Vangelo e vivono lontano dai luoghi «ufficiali» cercando comunione con la gente più disparata. Rifletto. E se le pareti scomparissero? Se ci si guardasse attorno e si capisse che la gente è la tua Chiesa?
In questi mesi ho lavorato fra dibattito e mediazione nel tentativo di riavvicinare le persone a quella missione all'interno della quale il «semplice credente» non è diverso dal pastore. Non ho mai pensato che ciò che noi diciamo nei luoghi di culto non possa essere condiviso e annunciato fuori, al contrario: mi sembra il senso di ciò che dovremmo fare. Ma fa paura oggi parlare di fede: sembra che per farlo debba esistere una terminologia teologica ufficiale. Io non credo che ci sia.
GOYLIN GALAPON: LA TESTIMONIANZA UNITA ALL'AIUTO PER CHI SOFFRE
Mi chiamo Joylin Buiosan Galapon e sono nata a Gerona, Tarlac City, Filippine, il 14 febbraio 1967. Sono cresciuta in una famiglia numerosa. I miei genitori sono stati gli educatori che per primi mi hanno trasmesso i valori umani e religiosi, e anche un modello di vita semplice ma ricco di rapporti di comunità perché lavoravano insieme ad altri la terra. Vedevo continuamente il ciclo dei lavori e dei prodotti da loro coltivati e questo garantiva la concretezza della vita. Mia mamma per molti anni ha dato la sua disponibilità e generosità come cassiera nella chiesa metodista. È stata per me un esempio di amore e sacrificio per gli altri e ricordarla mi è ora di aiuto per continuare i suoi insegnamenti.
Ho lasciato le Filippine a ventuno anni, ero già laureata in biologia. La decisione di partire per l'Italia è stata alquanto sofferta ma il desiderio di realizzare un futuro migliore mi ha dato la forza di farlo. Arrivata in Italia, per alcuni anni ho svolto il ruolo di domestica in diverse famiglie. Ho affrontato un periodo lungo di duro lavoro e ho avuto esperienze positive e negative che sono state di formazione per la mia crescita personale. Tutto questo è servito per conoscermi e posso essere grata a tutto questo vissuto che mi ha dato la possibilità di scoprire la fede. Da Dio attendo ogni bene e siccome Egli è il mio rifugio, io per lui lavoro e con lui voglio essere la compagna che divide tutte le gioie e dolori della vita.
Da due anni sto facendo pratica nelle chiese metodista di Cremona e valdese di Mantova: affidandomi all'aiuto di Dio cerco di svolgere al meglio questo incarico. Mi impegno molto nello studio dei testi biblici da predicare e cerco di guidare i fratelli nel miglior modo possibile alla comprensione della Parola. Parola che deve diventare per tutti noi l'alimento quotidiano. Mi sforzo di parlare con chiarezza per essere sempre un sostegno per il prossimo. Ascoltare i problemi degli altri mi riporta alla mente le difficoltà e le sofferenze della mia vita trascorsa e a chi ha bisogno dico così: come lui ha consolato me, consola anche voi.
Ho particolarmente a cuore quelli che vivono una condizione di disagio sociale perché mi ricordo i momenti di emarginazione subiti in quanto straniera. Per il mio carattere gioioso e aperto, ho facilità all'ascolto dei loro problemi e si confidano volentieri per essere capiti e confortati. In questo periodo di lavoro ho imparato a rispettare e conoscere ogni singolo fratello nella sua unicità e ognuno di loro ha bisogno di interventi e grazie alla guida dello Spirito Santo siamo insieme per amare e pregare Dio.
Ho nostalgia della mia terra che ho lasciato nelle Filippine, ma sono contenta di abitare nella sede che mi è stata assegnata perché mi offre la possibilità di stare in mezzo al verde. Ho un fazzoletto di terra che cerco di curare al meglio con fiori e erbe aromatiche, questi ricordano i profumi della mia infanzia.
Colgo l'occasione di ringraziare chi mi è stato di aiuto; grazie alla comunità metodista di Milano, ai pastori defunti Giovanni Carrari e Paul Perry, al pastore John Bremner che è tornato in Inghilterra e a tutti quelli che mi hanno sempre incoraggiata e sostenuta in questi anni. Un particolare pensiero di gratitudine ai miei professori della Facoltà valdese di Teologia, che mi hanno dato gli strumenti per capire e interpretare le Sacre Scritture.
Voglio in futuro mantenere un impegno costante per poter collaborare sempre di più per la crescita delle nostre comunità sperando che Colui che mi ha chiamato mi mantenga la fede così io possa lodarlo e ringraziarlo per sempre.
CATERINA GRIFFANTE: COSTRUIRE INSIEME LA CHIESA DELL'AMORE
Nata a Schio (Vicenza) nel 1957, vivo a Venezia. Dopo la maturità classica ho conseguito la laurea in Lettere e la specializzazione in Biblioteconomia. Sono stata per ventidue anni bibliotecaria all'Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia. Attualmente lavoro in qualità di consulente bibliografica ed esperta catalogatrice in una Cooperativa veneziana.
Credo di avere sempre avvertito, insieme a un forte interesse per la Scrittura, il desiderio di mettere in qualche modo la mia vita al servizio di Dio; al tempo stesso, non mi sentivo appagata dalle vie che mi offriva in questo senso la Chiesa in cui mi sono trovata a nascere, quella cattolica. L'incontro quasi casuale, a Venezia, con la Chiesa valdese, seguito dall'iscrizione al Corso di Formazione teologica a distanza e dalla confermazione nella Pentecoste del 2003, ha fatto riemergere l'antica vocazione, che alla fine mi ha orientata verso il ministero pastorale.
Ho seguito il cammino straordinario per il pastorato, svolgendo nel 2005 servizio pastorale temporaneo a Pordenone. Nel 2006 ho conseguito la laurea in Teologia con una tesi in Ecumenica dal titolo Il pensiero ecumenico di Paolo Ricca, relatore il prof. Fulvio Ferrario; ancora nel 2006 sono divenuta candidata al ministero pastorale, svolgendo il mio anno di prova nelle chiese di Padova e di Vicenza; infine, nel settembre 2007, ho seguito a Pomaretto il corso di Clinical Pastoral Education. A Pomaretto, al capezzale dei pazienti, di fronte alla loro paura e alla loro angoscia, ho toccato con mano la dimensione fondamentale dell'incarnazione del Cristo: Cristo ci aiuta, capisce il nostro dolore, lo può fare suo perché l'ha incontrato e l'ha vissuto come noi.
Questi anni di preghiera, di studio e di lavoro così intensi e faticosi mi hanno confermata nella mia decisione di servire l'Evangelo nel ministero pastorale. Con l'aiuto del Signore intendo porre il massimo impegno nell'annunciare l'Evangelo con la parola e con la vita. Mi propongo di abbinare una predicazione della Parola condotta con rigore e con passione a una costante sollecitudine per tutti e per ciascun membro di chiesa, riconoscendo e promuovendo i talenti di ciascuno, cercando di destare o ridestare in ciascuno speranza e fiducia. Per il mio vissuto, e in risposta a quelle che io ritengo siano le necessità nel mondo d'oggi, mi sento portata a dedicare, nell'ambito del mio pastorato, particolare attenzione proprio alla cura d'anime. Tanto all'interno della nostra Chiesa quanto nella Chiesa universale, nei rapporti con i cristiani di altra confessione - che mi stanno particolarmente a cuore - vorrei contribuire a far crescere quella che Paolo Ricca chiama la Chiesa dell'amore. A luglio di quest'anno compirò cinquantun anni. Il Signore ha voluto che questi fossero i tempi del disegno che Egli ha stabilito per me. Nella certezza della sua perpetua fedeltà, conto, sulla scorta di Paolo (II Cor. 12, 1-10), di poter scoprire la forza che Dio manifesta in me proprio attraverso la mia debolezza. Analizzando, con obiettività, le mie forze fisiche e psicologiche, ho scelto di optare per il pastorato locale.
tratto dal settimanale: RIFORMA, Anno XVI - numero 31 - 1° agosto 2008, p. 3.
1 commento:
Vale per GIUSEPPINA, GOYLIN, CATERINA,
e vale per tutti noi
il passo biblico di Romani 12,12:
Siate allegri nella speranza,
pazienti nella tribolazione,
perseveranti nella preghiera
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