lunedì 3 novembre 2008

Meditazione di Marco Russo

Il testo che qui sotto riportiamo è la predicazione che il 
candidato Predicatore Locale Marco Russo 
ha tenuto presso la Chiesa Metodista di Alessandria 
nel corso del culto di domenica 19 ottobre 2008



1° Epistola di Giovanni, 2,(7-11) 12-17

Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento vecchio che avevate fin da principio: il comandamento vecchio è la parola che avete udita.
E tuttavia è un comandamento nuovo che io vi scrivo, il che è vero in lui e in voi; perché le tenebre stanno passando, e già risplende la vera luce.
Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre.
Chi ama suo fratello rimane nella luce e non c’è nulla in lui che lo faccia inciampare.
Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi.
Figliuoli, vi scrivo perché i vostri peccati sono perdonati in virtù del suo nome.
Padri, vi scrivo perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Giovani, vi scrivo perché avete vinto il maligno.
Ragazzi vi ho scritto perché avete conosciuto il padre. Padri, vi ho scritto perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Giovani, vi ho scritto perché siete forti, e la parola di Dio rimane in voi, e avete vinto il maligno.
Non amate il mondo, né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del padre non è in lui.
Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal padre, ma dal mondo.
E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno




Mettendo a confronto alcuni brani del Vangelo di Giovanni con questi versetti, ci rendiamo conto quanto questi testi siano intimamente collegati.
L’”in principio” di Giovanni 1 si lega col “dal principio “ di 1^ Giovanni. Un altro elemento che accomuna i due testi è il forte dualismo che li caratterizza: comandamento nuovo, comandamento vecchio; tenebre, luce; odio - amore; amore del Padre - amore del mondo.
Sembra suggerire l'idea che il credente, per vincere il male, sia chiamato a dover fare una cernita prendendo unicamente ciò che è nuovo, nella luce e degno di essere amato.

Un dualismo che sembra non ammettere zone grigie, intermedie tra la luce e le tenebre, tra amore del Padre ed amore del mondo. Ma è proprio così? Veramente questa separazione ci conduce ad elaborare un giudizio che tagli in due il mondo che conosciamo? Se così fosse, che cosa dovremmo abbandonare e cosa invece tenere? Chi tra le persone che conosciamo è nella luce, e chi no?
Se questo dualismo giovanneo, espressione del giudizio di Dio sul mondo, si dovesse automaticamente applicare ai nostri giudizi, se il fatto di considerarci cristiani ci mettesse automaticamente nella condizione di essere Dio, allora il cristianesimo non apporterebbe nulla di nuovo in quello che è da sempre lo sport preferito dell'umanità: giudicare, sentirsi superiori, escludere.
Da che mondo è mondo l'uomo ha sempre trovato il modo di dividere, in virtù di criteri più o meno arbitrari, che ci autorizzano a ritenerci migliori; si tratta di un atteggiamento che riguarda sia le singole persone, sia fenomeni più complessi come ideologie o correnti di pensiero; in ogni ambito scaturiscono nuovi criteri per operare la divisione, alcuni potrebbero apparire più sensati di altri, persino ragionevoli. Il risultato è l'esclusione, che può avere vari aspetti: da un semplice pregiudizio pronunciato a mezza voce, si può arrivare all'incursione di qualche persona esasperata in un campo rom, o giungere a disastri e genocidi di cui la storia dell’uomo è colma.

Sappiamo che al giorno d'oggi la gente tende a rifiutare le ideologie, includendo tra di esse il cristianesimo, “Basta con religioni e idee politiche che hanno causato morte e distruzione! Meglio ragionare con la propria testa”. Cerchiamo di fare affidamento al nostro “buon senso”. Il caro vecchio “buon senso”: forse ignoriamo, o facciamo finta di ignorare, quanto esso si lasci influenzare dagli umori, da simpatie o antipatie, quanto esso amplifichi i torti subiti o che riteniamo di aver subito, e attutisca l'eco del male che causiamo ad altri.
Alla fine neanche il “buon senso”, risulta essere il criterio sicuro per essere giusti o, usando termini biblici, ottenere la salvezza. Anch'esso infatti divide, esclude, in base a parametri non sempre univoci e corretti.
Le parole di questo testo riguardano direttamente la nostra vita di tutti i giorni, perchè dal giudizio che diamo al mondo ed ai nostri simili dipendono le scelte che siamo tenuti a fare ogni giorno, se decidere di continuare a frequentare certi amici, se acquistare un prodotto od un altro, se passare la serata a giocare coi nostri figli o mettersi a scrivere un sermone.
Il forte dualismo di Giovanni forse ha lo scopo di indicare un modo per dividere, giudicare? Scrutare chi sia nella luce e chi no, quale sia l'azione che sia in linea col comandamento nuovo.

All'epoca in cui fu scritta questa epistola, nelle nascenti comunità cristiane dell'Asia Minore era molto diffusa una corrente di pensiero, lo gnosticismo, che, avendo alcuni punti di contatto con la teologia cristiana, si faceva strada anche in molte comunità dei primi secoli. Riducendo la complessità di questo fenomeno multiforme in poche parole; diremmo che lo gnosticismo, partendo da alcuni aspetti della testimonianza della morte e resurrezione di Cristo, giungeva a conclusioni che erano in aperto contrasto con l'idea di Messia ispirato dalle Sacre Scritture (intendo la Bibbia ebraica), e testimoniato dai primi cristiani.
Gli gnostici accentuavano in particolare il contrasto tra il mondo materiale e quello spirituale. Credevano in una redenzione separata dal mondo materiale, una concezione del mondo di tipo dualistico, che prevedeva la presenza di due divinità responsabili rispettivamente della creazione e della redenzione, accordavano inoltre grande importanza alla conoscenza o gnosis, per ottenere la salvezza. Gesù era compreso come la divinità nuova, buona, in contrasto con il Dio creatore ; la salvezza riguardava solo lo spirito, mentre la materia era destinata alla morte. Lo gnosticismo portava ad una divisione assoluta, tra nuovo e vecchio, tra Gesù e Dio Creatore, tra corpi e spiriti.
Movimenti improntati allo gnosticismo ci sono stati in tutta la storia, anche il fenomeno della new age ha queste caratteristiche. Forse anche noi abbiano delle posizioni gnostiche. In fondo siamo tutti preda dell'idea che, di fronte ai disastri che l'uomo sta causando, ci si stia avvicinando ad un punto in cui la creazione, così come la conosciamo noi, arriverà ad un collasso; di fronte all'evidente degrado della apparenza materiale delle cose, ci dovrà pur essere qualcosa che possa restare, di noi del nostro pensiero, della nostra vita. Per non parlare della comprensione che molti cristiani hanno della Bibbia, secondo cui il Vecchio Testamento parlerebbe del Dio tremendo e vendicatore, mentre il nuovo annuncerebbe il Dio buono e dedito al perdono.

Se lo gnostico pensa di ottenere la salvezza attraverso la conoscenza, l'individuo moderno, 
col proprio “buon senso” o libero pensiero si trova sulla stessa lunghezza d'onda, ma essendo più pigro, cerca una scorciatoia che gli eviti di studiare.
Ciò che sicuramente non possiamo ignorare è che l'autore di 1^ Giovanni difende con forza idee molto diverse, egli infatti intende contrastare lo gnosticismo.

“Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento vecchio, che avevate fin dal principio”, 
E’ chiara l'allusione a Giovanni 1, fin da principio significa che non ci può essere spazio nella fede cristiana per due dèi separati: uno creatore ed uno redentore. La Parola, l'insegnamento che è venuto dopo, Gesù, è lo stesso che c'era fin da principio, anzi, la Parola era con Dio, e per mezzo Suo sono state create tutte le cose. Giovanni rigetta decisamente l'idea che Gesù sia un Dio diverso dal Dio creatore, un dio “buono” in contrapposizione al dio cattivo o “pasticcione “ cha ha compiuto una creazione sbagliata.
Se il Dio creatore è buono, allora anche la sua opera non può essere che buona, come testimonia Genesi 1. Non spetta quindi al cristiano operare la divisione secondo criteri che non possono essere che umani, parimenti non ha senso ritenere che ci sia una natura spirituale “pura” che deve necessariamente distaccarsi da una natura materiale “sordida”. 
Gesù, che è fin dal principio, è venuto per salvare anima e corpo, ammesso e non concesso che Egli sia interessato a dividere in questo modo l'essere umano.

E noi, come ci poniamo in questo dibattito? riusciamo ad accettare la tesi dell'apostolo, o in fondo pensiamo anche noi che una parte della creazione sia cattiva, (magari quella a cui non apparteniamo noi), o che Gesù sia venuto soltanto per salvare le nostre anime? Il confronto che Giovanni sta avendo con lo gnosticismo aiuta anche noi a comprendere qualcosa di più su Gesù, sulla sua persona e su come possa Egli dividere il vecchio dal nuovo, la luce dalle tenebre, l'amore dall'odio, 
Si tratta di concetti opposti che sembra inducano ad una divisione, una divisione operata da Gesù Cristo, che si pone in mezzo ai poli. È Cristo che rende nuovo il comandamento vecchio, incarnandolo, inaugurando una nuova età in cui la volontà di Dio per il creato è stata pienamente adempiuta. È Cristo il passaggio dalle tenebre alla luce, proprio perchè testimonia che il destino del creato non è la distruzione, ma la gloria di Dio. È Cristo il metro per conoscere la differenza tra amore ed odio, perchè con la sua incarnazione, morte e resurrezione esprime il grande e libero amore di Dio, che esiste fin dal principio.
Concentrarsi sulla persona di Gesù Cristo, questo è quanto affermiamo di fare quando confessiamo la nostra fede in Lui. 
Ma ogni giorno la fede si scontra con la realtà che ci appare: violenze, guerre, corruzione...In che cosa il mondo è cambiato dopo la nascita di Cristo? Lo sguardo disincantato sul mondo ci avvicina all'idea gnostica, forse non avevan poi tutti i torti a pensare che questa realtà materiale non ha speranze, che cosa si potrà salvare di un mondo inquinato, una società corrotta, un'umanità violenta? Ci riesce difficile anzi impossibile scorgere i segni di quella “novità”, quella luce che squarci le tenebre rappresentate da un mondo che sembra sempre più malato.

Credo che sia capitato a tutti di trovarsi in periodi bui, in cui non si intravede alcuna prospettiva di cambiamento, è come trovarsi in un tunnel, in cui si procede a tentoni. Cerchiamo di scrutare davanti a noi, per individuare anche il minimo bagliore che possa indicarci una via d'uscita, e nel contempo speriamo ardentemente di non girare a vuoto. 
Nel momento in cui scorgiamo un puntino chiaro ci muoviamo decisamente verso di esso, sperando che sia la vera luce dell'uscita dal tunnel.
L'apostolo afferma con forza che Cristo è la vera luce. Noi, fiduciosi, cerchiamo i segni di questa luce che pensiamo debba essere accecante, un qualcosa di spaventoso, miracoloso, accipicchia, ha a che fare con la volontà di Dio, con l'escatologia! Ed invece l'apostolo ci presenta un segno minimale, quasi quotidiano, per la sua semplicità: il segno della luce che indica la strada al credente non è un drago fiammeggiante a sette teste o un vegliardo dalle vesti bianchissime seduto su un trono in mezzo alle nuvole, ma l'amore fraterno. Ami tuo fratello, tua sorella, il tuo prossimo? Allora sei nella luce, sarà questo amore ad indicarti la strada, a farti conoscere te 

stesso e l'altro.
Scoprire di amare il prossimo è un bellissimo segno, talmente bello che spesso rischiamo 
di confondere questo sentimento, umano e fragile, con l'amore di Dio. Corriamo il rischio di idealizzare anche l'amore, non rendendoci conto che anche l'espressione più elevata di questo sentimento, per esempio l'amore di un genitore per il proprio figlio, ha i suoi limiti; spesso infatti si dice che il “troppo amore” rovina i figli. In realtà non è l'amore in sé a rovinarli, ma il ritenere che il sentimento fortissimo che ci lega a loro ci autorizzi a rifiutare ogni critica o dubbio sulla loro educazione. Non possiamo idolatrare quel nostro amore come la più bella creature mai esistita, perchè diventeremmo ciechi e potremmo danneggiare anche i nostri stessi figli, avremmo gli occhi talmente pieni del nostro amore, che non riusciremmo più a scorgere l'altro. Saremmo come “chi dice di essere nella luce e odia suo fratello”, saremmo “ancora nelle tenebre.” Quindi essere nelle tenebre o nella luce, essere nel vecchio o nel nuovo, essere in Cristo o non in Cristo, ha a che fare con l'amore verso il prossimo, ma abbiamo scoperto che anche il nostro amore può condurci di nuovo nelle tenebre.
L'amore è sicuramente un sentimento difficile da decifrare e da controllare, ma almeno lo conosciamo, uomini e donne di ogni tempo hanno conosciuto l'amore, anche prima di Gesù. Ma Cristo è stato il primo e l'unico a realizzarlo secondo la volontà del Padre, Egli, con la sua vita, esprime la misura, non solo dell'amore fraterno, ma dell'amore di Dio. A lui ci dovremmo rapportare per comprendere la natura dei nostri sentimenti verso il prossimo. Dinanzi alla figura di Gesù manifestazione della prima, sola, vera parola creatrice, totalmente gratuita e libera, noi, che pensavamo di essere nella luce, per via dei nostri piccoli grandi amori, non possiamo che scoprirci nelle tenebre. 
Si può anche affermare di essere nella luce, di essere nel nuovo, di essere in Cristo, ma non è questa la condizione per essere veramente nella luce. Perchè anche quando ci sentiamo più forti che mai, non abbiamo la certezza di essere totalmente al di sopra di qualsiasi sentimento di odio verso un fratello o una sorella. Non è il nostro amore ad illuminarci il cammino, ma il Suo. Cristo può essere compreso solo a partire dal Suo amore, che a sua volta è spiegato, enucleato, solo ed una volta per tutte da Cristo: son due concetti speculari, ognuno può far comprendere qualcosa di più sull'altro.
L'unica luce a cui può aspirare il credente è quella generata e riflessa da queste due fonti, che non sono altro che due aspetti della medesima sostanza.
Nella sua ricerca il credente non ha a disposizione un faro da 200000 watt, più che un faro sembrano due candele. Possiamo cercare di comprendere di volta in volta cosa significhi l'amore soltanto avendo Cristo davanti a sè in ogni occasione in cui il nostro amore per l'altro è messo alla prova. Di fronte all'amore assoluto, di fronte a Cristo, non possiamo che ammettere la nostra impotenza, il nostro essere nelle tenebre. Ma quando potremo mai essere nella luce?
Finchè ci ostiniamo a voler dimostrare che il nostro amore è degno di essere approvato da Dio, non ci muoviamo di un passo verso di Lui, è come prendere a pugni l'aria, lottare contro i mulini a vento. Ma se stanchi ed affannati ci fermiamo a osservare la nostra impotenza, allora possiamo scorgere la luce che illumina questa nostra realtà, rivolgiamoci verso la fonte di questa luce, non più a noi stessi. Riconoscere la propria impotenza è la via per ricevere Cristo, quando riceviamo Lui, amiamo nostro fratello e sorella. L'amore fraterno non è l'ultima asperità da superare per avere Cristo, ma è la condizione in cui ci si trova quando Cristo ci prende con sé. Quando ognuno di noi scopre ciò che ci pone vicino a Lui non è l'amore che possiamo offrire, ma quello che ci viene donato, la luce ci sta illuminando e scopriamo di non temere più di inciampare.

Ed ecco che le parole di Giovanni riempiono la nostra vita:
“Figliuoli, vi scrivo perché i vostri peccati sono perdonati in virtù del suo nome
Padri, vi scrivo perché avete conosciuto colui che è fin dal principio.
Giovani, vi scrivo perché avete vinto il maligno”.
Abbiamo vinto il maligno che è in noi e ci sentiamo forti, perchè sappiamo di avere Gesù accanto a noi per tutte le volte che saremo di nuovo sconfitti.

Amen



tratto da: L'AQUILONE Volando in alto insieme dentro la realtà
Anno IX n.10, novembre 2008
Circolare della Chiesa Metodista di Alessandria 
e della Chiesa Metodista di Bassignana

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