mercoledì 29 ottobre 2008

RELIGIONI: CHE TEMPO FA?


Tempi della città, tempi della fede

Un convegno svoltosi al Conservatorio di musica di Torino ha posto un problema centrale nell’organizzazione delle città e delle varie attività lavorative: il senso che le diverse confessioni religiose danno al tempo, o meglio, ai tempi, tempi di vita, tempi lavorativi, occasioni di festa e di celebrazioni religiose.

Sara Platone

Nel Tempio della musica, il Conservatorio torinese «Giuseppe Verdi», gli esponenti delle diverse comunità religiose cittadine hanno dato vita, lunedì 6 ottobre, a un convegno su «I tempi della città e i tempi delle religioni», un progetto nato dal rapporto tra il Comitato Interfedi e l’assessorato al Commercio e alle Attività produttive per cercare di cogliere le dinamiche di una città in rapido cambiamento.
Il convegno si è aperto con la lettura dell’articolo 3 della Costituzione italiana da parte dell’assessore al Commercio e Attività produttive Alessandro Altamura riguardo l’uguaglianza di tutti i cittadini, che ricorda come il compito della Repubblica sia anche quello di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
L’incontro a più voci ha dato ampio spazio sia alle spiegazioni teologiche e filosofiche dei tempi religiosi, sia a considerazioni pratiche su come armonizzare ritmi cittadini e scadenze religiose. A ogni relazione ha fatto seguito un intervallo musicale, a opera degli studenti del Conservatorio, che, disposti in ordine orario nell’auditorio, hanno eseguito diversi brani delle tradizioni religiose, scandendo con la musica il tempo della parola. Tra i brani eseguiti vale la pena segnalare la Cantata 106 di Bach dedicata al tempo di Dio.
Per la tradizione protestante si è ragionato sul cambiamento della concezione del tempo legata alla chiesa, notando come la riforma protestante abbia inciso anche sulle dinamiche temporali. La concezione di puntualità a esempio, nasce – ha detto il pastore Platone – nella Ginevra di Calvino, dove l’ozio è considerato disdicevole, perché il tempo è vissuto come un dono di Dio, che bisogna onorare. Il senso di responsabilità individuale che la Riforma ha fortemente coltivato si applica anche al trascorrere del tempo della vita. Oggi, la situazione è molto diversa, bisogna saper trovare nuove risposte: se le dinamiche economiche impongono ritmi sempre più veloci di lavoro e di efficienza, ecco allora il bisogno di rallentare, per poter vivere in modo pieno il proprio tempo e potersi così anche dedicare alla spiritualità.
Sulla stessa linea di pensiero, gli esponenti del cristianesimo cattolico romano don Aldo Bertinetti e della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (leggi: Mormoni) Sergio Griffa, sostenitori anch’essi dell’importanza del dedicare spazio ai momenti religiosi, che non sono solo necessariamente di contemplazione spirituale, ma possono essere dedicati ad attività di aiuto verso il prossimo. La domenica, come spazio per Dio, coinvolge cattolici, ortodossi, protestanti.
Per il rabbino Alberto Somekh, il padre ortodosso Lucian Rosu e l’islamico Umar esistono invece tempi predefiniti dalla religione, che a essa vanno dedicati, da rispettare. In particolare il tema ebraico-biblico del shabbat rappresenta un elemento fondante nel rapporto con Dio. Concezione completamente differente hanno i buddhisti e gli induisti, rappresentati rispettivamente dai monaci Dai-Do Strumia e da Svanimi Hamsananda Giri, per i quali il tempo non ha una dimensione lineare e misurabile, ma piuttosto circolare, ciclica, che si ripete e nella quale siamo immersi. Passato, presente e futuro sono un’unica essenza, all’interno della quale noi viviamo: noi siamo il feto di ieri, l’uomo di oggi e il cadavere di domani insieme. Ne consegue che ogni istante, irripetibile, è completo e perfetto in se stesso, e in quanto tale va valorizzato. Secondo questa visione (legata anche all’idea della reincarnazione) non c’è la necessità di programmare un tempo del riposo, perché qualsiasi esperienza, lavorativa o spirituale, va vissuta in pieno, con gioia, senza proiettarsi su che cosa avverrà appena terminata.
Queste riflessioni intorno al tempo verranno, prossimamente, raccolte negli atti del convegno, nei quali si potranno trovare in modo più dettagliato le spiegazioni teologiche, storiche e filosofiche che stanno alla base delle differenti posizioni religiose. Frutto di questo convegno sarà anche un pratico libricino, pensato soprattutto per commercianti e datori di lavoro, che indicherà un calendario preciso delle varie scadenze del pluralismo religioso in città e una breve spiegazione delle festività. Per essere chiari: se una badante romena vuole osservare dei tempi di digiuno legati alle pratiche religiose ortodosse, o un lavoratore marocchino islamico intende osservare il riposo del venerdì e il Ramadan, piuttosto che la festa induista lungo il fiume per non parlare del sabato ebraico (ma anche quello avventista in casa evangelica), bisogna informare la «controparte» in vista dell’ottenimento di permessi motivati sul lavoro. È un piccolo passo ma necessario in una città come Torino, dove soltanto gli ortodossi romeni sono più di trentamila e dove la fine del Ramadan è stata recentemente festeggiata al PalaIsozaki con più di diecimila persone di cui più di un terzo italiani convertiti all’Islam, seconda religione in Italia. C’è chi cresce e c’è chi diminuisce. E tutto questo cambia la realtà del nostro vivere comune.

tratto dal settimanale RIFORMA,
Anno XVI - numero 41 - 24 ottobre 2008, p. 5;
e dal sito: www.riforma.it
in data: mercoledì, 29 ottobre 2008, ore 13.40.

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