martedì 14 ottobre 2008

TEORIA DELL'EVOLUZIONE
E TEOLOGIA CRISTIANA
DALLA "GUERRA DI NATURA" ALLA COOPERAZIONE NATURALE
E AL
RICONOSCIMENTO INTERSOGGETTIVO


di Jürgen Moltmann

Testo della conferenza del teologo J. Moltmann al seminario di studio organizzato a Torino dal Centro Evangelico di Cultura “Arturo Pascal” e dal Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson” in data 15 giugno 2007.

Il tema del mio intervento farà subito venire in mente a molti il conflitto ideologico fra darwinisti e fondamentalisti cristiani circa la teoria della discendenza e la dottrina biblica della Creazione. Tale conflitto persiste ancora oggi negli USA, ma si tratta soltanto di un conflitto ideologico. Su tale livello ideologico si colloca anche il grande tentativo di Tellhard de Chardin di coordinare la teoria dell’evoluzione e la teologia cristiana della storia nella prospettiva del “Punto Omega”. In entrambi i tentativi della teologia di rapportarsi criticamente o al contrario positivamente alla teoria dell’evoluzione è assente la discussione delle conseguenze pratiche che la teoria dell’evoluzione ha avuto sul darwinismo razzista e sul darwinismo sociale. Manca la critica agli esiti mortali che la teoria della selezione ha avuto per le vittime dell’evoluzione nella medicina razzista della dittatura nazionalsocialista.
“La vita non degna di essere vissuta” degli handicappati, degli ebrei e degli zingari fu sterminata in nome della tesi della “sopravvivenza del più adatto”. Anche se questa follia razziale è oggi superata, viviamo però ancora in una società dei vincenti e dei perdenti, e “il vincente si prende tutto”. La critica e l’apprezzamento di Darwin, dal punto di vista umano come da quello teologico, deve condurre più in profondità e porre in questione il contesto ermeneutico di riferimento del darwinismo dal punto di vista delle scienze naturali, dell’antropologia e della teologia. Esiste davvero una fondamentale “guerra di natura” o la natura mira in fondo alla cooperazione e alla convivenza?

Cominciamo con Darwin.

La dottrina darwinista della discendenza (1859), secondo cui ogni vita sulla terra è accomunata da un unico albero genealogico, colloca per la prima volta la storia della natura su un base scientifica. La quantità di fenomeni provenienti dal regno della natura raccolti da Darwin è convincente. Attraverso una serie di variazioni, dalle forme viventi semplici si forma una crescente differenziazione delle specie vegetali e animali. Darwin formulò il principio della selezione sulla base del fatto che, allorché mutano le condizioni ambientali, non succede soltanto che sorgono sempre nuove specie, bensì anche che le vecchie specie scompaiono. Soltanto le specie che si adattano meglio e più rapidamente sopravvivono e si sviluppano ulteriormente.
Questo è quanto concerne la descrizione dei fenomeni. Tuttavia, Darwin elabora poi un contesto interpretativo di riferimento per il principio della selezione, il quale non deriva dall’osservazione dei fenomeni naturali, ma dallo spirito della sua epoca nella Gran Bretagna imperiale del XIX secolo. Il capitalismo senza regole dominava, dal punto di vista interno, l’Inghilterra, che era la nazione industriale di primo piano, mentre il crescente impero coloniale dal Cairo a Città del Capo fino a Calcutta caratterizzava l’espansione della Gran Bretagna verso l’esterno. Perciò il fondamento del principio della selezione naturale non poteva essere che la fondamentale e generale “guerra di natura”, la lotta per l’esistenza di tutti contro tutti. Non soltanto le diverse specie, ma anche gli individui di una stessa specie; non soltanto le specie, ma anche gli organismi, combattono l’un contro l’altro per la sopravvivenza “nella lotta per la vita “ (struggle for life). Per gli esseri umani non c’è unicamente una “guerra di natura”, ma anche una “guerra con la natura”. Chi sopravvive, si riproduce; chi perde, viene annientato. Il più forte deve necessariamente vincere. Così vuole la natura. Ovviamente Darwin conosceva anche i fenomeni naturali della cooperazione biologica degli organismi, delle specie e dei loro individui; registrò di persona anche un comportamento altruistico; ma li considerava come fenomeni secondari, che si sarebbero sviluppati al servizio dello struggle for existence.
In questa conferenza intendiamo
1. porre in questione il trasferimento della selezione naturale sul piano della selezione artificiale del genere umano;
2. accogliere l’attuale tesi neurobiologica della cooperazione naturale: “simpatia” piuttosto che “guerra di natura”;
3. osservare la costruzione di complessi sistemi di vita sulla base del processo di causazione top-down: nel caso degli esseri umani, si tratta dell’integrazione dell’ordine del corpo nell’ordine della persona e l’integrazione della comunità personale degli esseri umani nel contesto interpretativo della trascendenza;
4. infine, intendiamo valutare il mondo, nel divenire dell’evoluzione, nello spazio preliminare delle sue possibilità – mondo in divenire – futuro a venire –, per connettere l’evoluzione naturale all’escatologia teologica.

1.1. Charles Darwin e “l’influsso dell’educazione naturale sulle nazioni civilizzate”

Una volta descritto “il progresso degli esseri umani da una precedente condizione di semi-umanità alla condizione degli attuali selvaggi”, Darwin si interrogò sull’influsso “dell’educazione naturale sulle nazioni civilizzate” (pp. 147-149)1. È significativo che egli si richiami qui a tre scrittori contemporanei, Greg, Wallace e Galton, e che da loro tragga le sue osservazioni.
“Presso i selvaggi, i soggetti mentalmente e fisicamente deboli vengo presto eliminati e coloro che rimangono in vita mostrano comunemente una condizione di salute più robusta. D’altra parte noi uomini civilizzati facciamo tutto il possibile per arrestare questo processo di eliminazione”.
Egli si scaglia contro la vaccinazione antivaiolosa, perché grazie ad essa sopravvivono e possono riprodursi anche i membri più deboli della nostra specie, e fa notare la saggezza di quegli allevatori di animali che non ammettono che vengano allevati gli animali peggiori.
Illogicamente, Darwin è contrario alla guerra fra esseri umani e contraddice così il suo proprio fondamentale presupposto di una “guerra di natura” che favorisca l’evoluzione. La ragione di ciò è il fatto che in guerra muoiono i migliori, mentre gli uomini più piccoli e più deboli, dalla costituzione più precaria, vengono lasciati a casa e perciò “hanno una probabilità molto maggiore di sposarsi e di riprodurre la loro specie” (p. 149).
“Pertanto, il numero dei membri sconsiderati, decaduti, e spesso depravati della comunità tende a crescere in misura più veloce di quello dei membri intelligenti e in generale dei membri virtuosi o, come Mr. Greg presenta la situazione: ‘L’Irlandese irresponsabile, sudicio, che non mira a nulla di più alto, si moltiplica come i conigli; lo scozzese frugale, previdente, rispettoso di sé, ambizioso […] si sposa tardi e si lascia dietro soltanto pochi discendenti’”. “Nell’eterna lotta per l’esistenza, la razza subordinata, meno favorita, sarà quella che predominerà e che predominerà non in virtù delle sue buone qualità, ma in virtù dei suoi difetti” (Grieg, citato da Darwin, p. 153).
Nel suo “riassunto generale e osservazione conclusiva” (pp. 699 sg.) questo pensiero è espresso come segue: “L’uomo esamina con cura scrupolosa il carattere e il pedigree dei suoi cavalli, buoi o cani, prima di accoppiarli. Quando però si tratta del proprio matrimonio, si sobbarca raramente o mai una tale fatica […]. Tuttavia, mediante la selezione (selection) egli potrebbe fare qualcosa non soltanto per la costituzione fisica e per l’aspetto esteriore dei suoi discendenti, ma anche per le sue proprietà morali e intellettuali […]. Se gli uomini intelligenti evitano il matrimonio, mentre gli sconsiderati si sposano, i membri inferiori della società umana tenderanno a reprimere quelli migliori […]. Per tutti gli uomini dev’esserci aperta concorrenza e le leggi e i costumi non devono impedire ai più capaci di avere il successo maggiore e di allevare un numero maggiore di discendenti”. (p. 700). In un passaggio precedente egli loda Sparta: “Anche a Sparta si praticava un allevamento selettivo; infatti era prescritto che i bambini poco dopo la nascita venissero sottoposti a esame; i meglio formati e i più robusti erano mantenuti, gli altri lasciati morire” (p. 32).
Registriamo criticamente quanto segue:

1. Il fatto che nella “war of nature” la lotta per l’esistenza o la morte esiga l’evoluzione della vita mediante la selezione dei più forti, è contraddetto già dal rifiuto da parte di Darwin delle guerre moderne. La guerra è distruttiva, non produttiva. Nelle guerre perdono entrambi: i vinti come i vincitori.

2. La conclusione che specie estinte come i dinosauri debbano essere state soppresse da specie più forti come gli esseri umani è falsa. La storia naturale non si riduce alla “lotta fra le specie”.

3. L’umanismo di Darwin non può comunque essere ignorato. Nel passo citato egli afferma anche: “L’aiuto che ci sentiamo spinti a offrire ai bisognosi è principalmente il risultato dell’istinto di simpatia […]. Noi non potremmo ostacolare la nostra simpatia, anche se ce lo suggerisse il duro intelletto, senza deteriorare la parte più nobile della nostra natura (p. 148; cfr. p. 701).

1.2. Possibilità della selezione artificiale: progetti di eugenetica

Nel 1962 ebbe luogo a Londra la celebre Ciba-Conference. Nel 1966 i suoi risultati vennero pubblicati in tedesco da Robert Jungk e Hans Joseph Mundt con il titolo: Das umstrittene Experiment Mensch (Il controverso esperimento dell’essere umano2). L’essere umano è un esperimento della natura o un esperimento genetico di se stesso? Incontrai i rappresentanti più importanti dei progetti di eugenetica, che furono presentati in occasione di quel congresso, al Congresso internazionale Hoffmann-la Roche, a Basilea, al quale partecipai con una relazione su “Biomedical Progress and Human Values” (Progressi biomedici e valori umani). Robert Jungk, lo studioso del futuro, ha scritto in proposito una relazione che fu pubblicata con il titolo “The Challenge of Life” (La sfida della vita) nel 19723.
Riassumo la discutibile idea che fu sostenuta alla Ciba-Conference circa un “futuro eugenetico dell’umanità”.
1. La selezione naturale mette in pericolo il futuro dell’umanità: gli stupidi si moltiplicano, gli intelligenti si reprimono. In tal modo presso le nazioni civilizzate il patrimonio genetico dell’umanità peggiora e nella società industriale la fertilità diminuisce. Pertanto nelle nazioni progredite abbiamo bisogno di un miglioramento (enhancement) della costituzione genetica degli esseri umani. Non basta – come avviene oggi in Germania – spingere mediante incentivi fiscali le persone capaci e istruite ad avere più figli e distogliere le persone incapaci e ignoranti dal concepimento di bambini. Occorre passare alla fecondazione artificiale mediante una selezione dei migliori. Dal punto di vista eugenetico l’AID – artificial insemination from a donor (‘inseminazione artificiale mediante donatore’) – è necessaria da un lato per eliminare malattie ereditarie e dall’altro per rendere fecondo il patrimonio genetico migliore.

2. Occorre perciò ideare banche del seme con materiale pregiato, dotato cioè di “eccellenti doti di cuore, spirito e corpo”. Occorre perciò immagazzinare ovuli umani analogamente “eccellenti”. Grazie alle nano-tecnologie sono possibili manipolazioni del materiale genetico dell’umanità. “L’avanguardia idealistica dell’umanità e i suoi discendenti daranno inizio per generale accordo a un sano progresso genetico verso gli eccellenti valori della salute, dell’intelligenza e dell’umanità”: questa è la prospettiva con cui Herman Muller concluse la sua relazione alla Ciba-Conference.
3. Joshua Lederberg intendeva regolare la grandezza del cervello umano mediante interventi precedenti il parto. Promise che si sarebbe potuto produrre il 50% in più di geni umani, se si fosse innalzato l’IQ medio della popolazione di un 1,5%; ciò sarebbe necessario, perché “la maggioranza di noi non ritiene l’attuale popolazione mondiale abbastanza intelligente per essere in grado di arrestare un processo generale di distruzione del mondo (p. 315). Si tratta di un’illusione: i figli dei geni raramente sono anch’essi geniali. Il figlio di Goethe non era un poeta, il figlio di Hegel non era un filosofo. I più sono persone infelici a causa dei propri padri.
La convinzione dei partecipanti alla Ciba-Conference era che un’eugenetica di questo tipo non fosse null’altro che l’equivalente biologico della generale educazione morale del genere umano finalizzata al miglioramento e che dovesse essere utilizzata per l’evoluzione dell’umanità.
Tema di discussione fu quali esseri umani hanno il diritto di avere bambini e quale diritto ha lo Stato sui bambini sani. L’intenzione era quella di coltivare i valori di “salute, intelligenza ed efficienza” così come di eliminare malattie genetiche e handicap trasmessi per via ereditaria. Rimase tuttavia oscuro che cosa si dovesse intendere per “miglioramento dell’eredità genetica umana”, perché “bene” e “male” non possono essere giudicati con i concetti della logica genetica. Stranamente non di discusse se da un seme privo di padre e da un ovulo privo di madre potesse mai sorgere un essere umano, vale a dire un essere umano sano. Non si deve fare tutto quello che si può fare, ma soltanto ciò che è anche sensato, oltre che possibile. “Can does not imply ought”. Forse sarà possibile prima o poi clonare un essere umano, ma è una cosa del tutto priva di senso.
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La discussione di stampo darwinista sull’eugenetica è oggi svincolata da progetti di biotecnologia, ma i fondamenti ideologici sono rimasti: la fecondazione extrauterina è possibile, è pensabile fare diagnosi sugli embrioni prima della nascita e farli maturare artificialmente. È recente la notizia che il Parlamento australiano ha consentito la clonazione di embrioni e di cellule staminali per riuscire a sconfiggere malattie della vecchiaia come il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer. Gli embrioni vengono così uccisi e poi funzionano soltanto come “mucchi di cellule” e non come esseri umani, come se i deputati australiani non fossero “mucchi di cellule”.
La definizione di “embrione” corrisponde sempre alla prassi consistente in ciò che si vuole fare con essi. Se gli embrioni sono soltanto “stadi biologici iniziali” dell’essere umano, allora possono essere utilizzati in medicina, se sono “esseri umani in divenire” occorre rispettarne la dignità umana. Perché in questo ambito per gli scienziati è palesemente difficile considerare il loro specifico oggetto alla luce di contesti più ampi? Se parlano di mucchi di cellule, di embrioni e feti, essi sottraggono al loro oggetto il suo futuro e vedono soltanto il suo stato presente. Tali astrazioni e tali considerazioni decontestualizzate non sono necessarie per poter pervenire analiticamente a risultati esatti; ma per la valutazione dei dati occorre vedere la parte in rapporto alla sua totalità relativa e lo stato presente insieme al suo futuro. Un ovulo fecondato è in potenza un essere umano e null’altro.
Il problema è quindi che gli esperti e gli specialisti comprendono palesemente
sempre meno in quali e per quali più ampi contesti stanno in realtà lavorando.

1.3.

In occasione della Hoffmann-LaRoche-Conference di Basilea nel 1971 ho sostenuto la seguente esigenza: “i valori della lotta per l’esistenza devono essere sostituiti da un ethos della pace nell’esistenza”. Per questo “il progresso biomedico deve essere integrato in un ordine dell’umanità, che rende la vita degna di essere vissuta”. Il progresso scientifico non deve essere ostacolato, ma deve allargarsi a comprendere unità sistemiche sempre più complesse. L’integrazione della scienza in più grandi sistemi spirituali, sociali e politici di comunicazione e di cooperazione è importante. “L’ethos della pace nell’esistenza” che esigevo nel 1971 è oggi scientificamente dimostrato dalla neurobiologia.

2.1. la tesi neurobiologica: “Al centro della biologia c’è la relazione e la cooperazione reciproca”4

Il contesto di riferimento per l’interpretazione dell’evoluzione della vita non deve essere quello della “war of nature” e della “lotta per l’esistenza”. Il principio fondamentale per la costruzione dei sistemi biologici è piuttosto la cooperazione. Questo era già stato dimostrato ai tempi di Darwin dal socialista e anarchico Pjotr Kropotkin nel suo libro Il mutuo soccorso nel mondo umano e animale, che Gustav Landauer pubblicò in tedesco al tempo della repubblica sovietica di Monaco nel 19205. Anche il celebre scienziato Jakob von Uexküll riconobbe “la relazione” come principio biologico fondamentale”6. Ma soltanto la neurobiologia contemporanea ha dimostrato “che noi cooperiamo per natura” e che soltanto grazie a forme di cooperazione riesce la costruzione dei sistemi di vita più complessi. Lo rileviamo anzitutto in rapporto allo sviluppo dell’umanità dell’essere umano, per poi pervenire alle nuove funzioni che la totalità ripartisce tra le sue parti integrate.

2.2.

Per noi esseri umani dal punto di vista neurobiologico la fiducia così come la risonanza, il riconoscimento e l’accettazione sociali sono costitutivi. I vincoli sociali non sono una debolezza umana e neppure soltanto un istinto sociale (Darwin), ma l’elemento vitale in cui soltanto si può sviluppare la vita umana.
L’immagine darwinista dell’uomo, secondo la quale nella battaglia per l’esistenza i forti si impongono e spingono in avanti l’evoluzione, fu ulteriormente elaborata nella “sociobiologia” di Edward Wilson (1975) e Richard Dawkin (19787). I veri attori dell’evoluzione non sono gli esseri viventi, ma i geni: infatti il fine di tutti i geni è quello di moltiplicarsi al massimo e di imporsi sulla concorrenza di altri geni. “The selfish gene” (“il gene egoistico”) è la forza propulsiva dell’evoluzione. Questa idea corrisponde alla mentalità della moderna società della concorrenza. Cito per esempio da un articolo di David Brooks pubblicato sull Herald Tribune il 20 febbraio 2007: “Dal contenuto dei nostri geni, dalla natura dei nostri neuroni e dalle lezioni della biologia evolutiva, è divenuto chiaro che la natura è carica di competizione e di conflitti di interesse. L’umanità non precede i contrasti di status sociale, ma i contrasti di status sociale precedono l’umanità e sono profondamente radicati nelle relazioni umane”. Egli ne conclude: “Rousseau aveva torto e Hobbes ragione.” Poiché la natura umana è così aggressiva e la lotta per il potere è costitutiva, abbiamo bisogno, questa la conseguenza, di un forte Stato, di una dura educazione e di una concezione tragica del mondo (Stephen Pinker, Tragic Vision). Per coronare il suo cinismo, Brooks osserva: “L’Iraq ha rivelato che cosa fanno gli esseri umani in assenza di uno stato forte che imponga l’ordine”. Si tratta niente di meno che della legittimazione della dittatura, della politica della forza e del diritto dei più forti, per il quale devono essere utilizzati i geni “egoistici” della sociobiologia.
La neurobiologia contemporanea ha dimostrato che questa immagine dell’uomo, e quindi anche la sua applicazione all’interpretazione dei fenomeni naturali della vita, è falsa. Non la battaglia per l’esistenza e la competizione sospingono l’evoluzione della vita umana, ma il riconoscimento e la cooperazione reciproca. “L’idea che l’accettazione e il riconoscimento che troviamo presso gli altri sia il fondamento più profondo di ogni motivazione è emersa negli ultimi cinque o dieci anni ed è l’esito di una serie di accurate indagini. In proposito si è scoperto che i sistemi motivazionali si disinnescano, se non c’è nessuna chance di produrre effetti sociali e si mettono in moto nel caso contrario, ovvero quando sono in gioco il riconoscimento o l’amore”8. Questo corrisponde a un’esperienza che ognuno può fare da sé: l’isolamento sociale e il disprezzo feriscono e comportano apatia, il crollo di ogni motivazione, e in casi estremi anche il suicidio. Al contrario un provato riconoscimento favorisce la volontà di vita e porta a inaspettate prestazioni. La strutturazione del cervello dell’infante ha bisogno dell’affetto esperto della madre, dei genitori e delle persone vicine (Richard Michaelis). L’uomo è un essere sociale, come dimostra la scoperta del sistema nervoso speculare (Spiegelnervensystem). “Reti sociali intatte proteggono la salute e aumentano l’aspettativa di vita, la solitudine indesiderata abbrevia la vita”. Non ho bisogno di fornire ulteriori spiegazioni, ma aggiungo soltanto questo: in rapporto alla ricerca sui geni è importante non soltanto riconoscere le sequenze dei geni, come si è riusciti a fare poco tempo fa nell’indagine sul menoma umano, ma studiare anche le funzioni dei geni nella totalità del corpo umano. Chi mette in moto i geni, chi li disattiva? I geni non sono i pezzi in un gioco di costruzioni, che hanno relazioni reciproche qualsiasi. Sono invece integrati nell’intreccio di relazioni di un essere vivente. Inoltre reagiscono nell’intreccio di relazioni in cui si muove l’essere vivente, e cioè reagiscono alle impressioni dei suoi organi di senso. Se si isolano i geni dalle loro relazioni interne ed esterne, li si potrà certamente conoscere, ma non comprendere.

3. La struttura delle forme viventi complesse

I diversi sistemi vitali o organismi non cooperano soltanto fra di loro ma si integrano anche l’uno con l’altro a formare forme di vita più complesse. Senza questi processi non ci sarebbe alcuna evoluzione della vita. Nel corso di queste integrazioni si perviene a nuove forme di organizzazione. Si dice: “la totalità è più della somma delle parti”. È corretto: la totalità è qualcosa di più della cooperazione delle parti separate fra di loro. La totalità è un nuovo principio di organizzazione per le funzioni delle parti tra di loro e in rapporto alla totalità. Siffatte nuove forme di organizzazione sorgono palesemente dagli stati di aggregazione delle parti come salti in nuove qualità. Poiché la totalità presenta una nuova qualità, non è soltanto “più di”, ma anche diversa dalla quantità delle parti. Le funzioni delle parti nella totalità sono riconosciute sulla base della causazione top-down. Come funzionano i geni in un corpo umano e il corpo umano nella vita di una persona umana? È chiaro che le cellule nervose e le reti nervose nel cervello determinano la partecipazione delle parti nella totalità dell’essere umano. Attivano e disattivano i geni. Il cervello contiene sia la memoria corporea sia la memoria storica di una persona. Regola le relazioni, i vincoli e la fiducia della persona per mezzo dell’opalina e dell’oxytozina.
Con ciò giungiamo una breve considerazione sui sistemi aperti della vita. I sistemi di vita complessi sono sistemi aperti. I sistemi aperti della vita sono sistemi comunicativi, che si sviluppano mediante uno scambio di energia e di materia sempre più ricco. I sistemi di vita complessi aperti sono forme di vita simbiotiche. Con il termine ‘apertura’, applicato ai sistemi di vita, si intende però anche l’ambito delle loro possibilità. Tanto più complesso diviene un sistema, tante più possibilità gli si dischiudono davanti. Di conseguenza, i sistemi aperti hanno diverse possibilità di trasformazione. Il loro comportamento futuro non è completamente determinato dal loro comportamento passato. Il loro stato futuro è quindi diverso dal loro stato passato. Sono compresi nel processo del loro divenire e li si comprende soltanto qualora si comprenda anche il loro possibile futuro. I sistemi aperti anticipano il loro proprio futuro, realizzando o escludendo le loro possibilità presenti. I sistemi aperti si trovano in un equilibrio fluido e sono asimmetrici per quanto concerne la loro struttura temporale di passato e futuro. Non possiamo fare nessuna dichiarazione sui “sistemi chiusi”, perché ogni informazione richiede un vettore materiale o energetico. Sappiamo però che un sistema di vita aperto, qualora si chiuda alla comunicazione e al proprio futuro, perisce10.
Se vogliamo sfuggire al riduzionismo della scienza specialistica dobbiamo inserire i suoi risultati in scienze integrative (Integrationwissenschaften), per comprendere meglio noi stessi e l’ambiente in cui viviamo. A livello antropologico integriamo i corpi analizzati dalle scienze specialistiche negli ordini sociali e storici della persona e le singole persone nelle nostre comunità di vita; integriamo le nostre particolari comunità di vita nella comunità dell’umanità e a livello teologico integriamo la comunità dell’umanità nella comunità della creazione, e la comunità della creazione nella comunità del Dio uno e trino. Con questo non si intende affermare una completa visione del mondo, ma sono comunque indicate le prospettive in cui cerchiamo di comprendere che cosa possiamo conoscere.

4. Mondo in divenire – futuro a venire

La teoria dell’evoluzione della vita su questa terra ci mostra una storia unica e irripetibile. È la vita in divenire. La sua storia può essere compresa retrospettivamente in una teoria della discendenza, ma possiede ovviamente anche prospettive per sviluppi futuri. Per quanto riusciamo a vedere noi, con la nascita dell’essere umano, delle società umane e della cultura umana, alla natura è riuscito un esperimento relativamente assai complesso, molto sensibile e capace di futuro. Sarebbe tuttavia molto ingenuo sostenere che l’essere umano sia il coronamento e la conclusione dell’evoluzione della vita. L’essere umano potrebbe essere anche un ponte di passaggio a forme di vita superiori. Sebbene il genere umano sia comparso nella storia della vita piuttosto tardi, è però anche finito e può nuovamente scomparire a causa di catastrofi naturali, come accadde un tempo ai dinosauri o – più probabilmente – a causa di catastrofi che potrebbe provocare lo stesso genere umano, che siano di tipo nucleare, ecologico o terroristico. Perfezionamento o rovina: il futuro ha pronte per noi entrambe le possibilità.
L’immagine cristiana dell’uomo concepisce l’uomo dinamicamente nel processo della storia di Dio11, il quale è orientato verso un futuro superiore: “Noi siamo ora figli di Dio, ma ciò che diventeremo non è ancora manifesto. Sappiamo però che, quando lo sarà, diverremo uguali a Lui (Dio), perché vedremo Dio, come Dio è (1. Joh 3, 2). L’esperienza che al tempo presente l’uomo fa di sé nella fede cristiana si appoggia alla speranza di questo futuro nella visione divina. L’uomo contemporaneo è effettivamente un ponte di passaggio a questo futuro superiore. Tuttavia questo futuro dell’essere umano non si sviluppa in base alle forze e alle tendenze del suo presente, ma spetta (zukommt) alla storia dell’essere umano, come dice il termine tedesco “Zukunft” (avvenire): “Quando però si manifesterà…” Dio giunge (Ofb 1,4), e nel suo avvenire questo mondo in divenire sarà perfetto, perché sarà trasformato da cima a fondo e tutto sarà “nuovamente creato” (Ofb 21, m 5). Possiamo porre in relazione le due cose, il mondo in divenire e questo futuro a venire? Credo che i profeti di Israele abbiamo visto questa connessione.
“Apriti, divieni luce,
perché la tua Luce viene
e la magnificenza del Signore si dischiude su di te” (Jes 60,1)
Queste sono le integrazioni teologiche di cui noi siamo debitori nei confronti delle scienze umane e delle scienze della vita.
Consideriamo la vita personale nel quadro della visione della vita eterna.
Consideriamo la storia umana nel quadro della visione del Giudizio e del Regno di Dio.
Consideriamo anche la storia naturale nel quadro della grande visione della nuova creazione del cielo e della terra: “Vedi, creo nuovamente tutto”.
La vita personale è per noi una promessa di vita eterna. La storia umana è ricca di anticipazioni del Giudizio e del Regno di Dio.
La storia naturale è ricca di promesse reali della nuova creazione.
Il futuro della vita personale, della storia umana e della storia naturale è già ricco di stimoli per lo sviluppo, il progresso e la trasformazione, affinché il mondo divenga ciò che deve essere: la creazione eterna di Dio e il regno della Sua magnificenza.
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Note

1) Cito dall’edizione tedesca: Charles Darwin, Die Abstammung des Menschen, Voltmedia Paderborn 2005.
2) R. Jungk/H.J.Mundt, Mand and his future, London 1963; trad. ted. Das umstritteneExperiment Mensch, München 1966.
3) R. Jungk, The Challenge of Life, Hoffmann laRoche, Basel 1972. Il mio contributo “Ethik und biomedizinische Fortschritt” (Etica e progresso biomedico) è pubblicato in J. Moltmann, Die Zukunft der Schöpfung (Il futuro della creazione), München 1977, pp. 140-156.
4) J. Bauer, Prinzip Menschlichkeit. Warum wir von Natur aus kooperieren (Principio umanità. Perché cooperiamo per natura), Hamburg 2006 (a questo libro devo lo stimolo a scrivere questa relazione).
5) P. Kropotkin, Gegenseitige Hilfe, München 1920.
6) J. Von Uexküll, Theoretische Biologie (Biologia teoretica), Berlin 19282.
7) E.O. Wilson, Sociobiology, 1975. R. Dawkins, The Selfish Gene, Oxford University Press 1976.
8) J. Bauer, p. 35. Cfr. anche R. Michaelis, Die ersten funf Jahren im Leben eines Kindes (I primi cinque anni di vita di un bambino), München 2006.
9) Bauer, p. 68.
10) E. von Weizsäcker (ed.), Offene Systeme I, Beiträge zur Zeitstruktur von Information, Entropie und Evolution (Sistemi aperti I, Contribuiti sulla struttura temporale dell’informazione, dell’entropia e dell’evoluzione) (ed.), Stuttgart 1974, J. Moltmann, Schöpfung als offenes System (Creazione come sistema aperto), in: Zukunft der Schöpfung, pp. 123-139.
11) J. Moltmann, Das Kommen Gottes. Christliche Eschatologie (La venuta di Dio. Escatologia cristiana), Gütersloh, 1996.
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Traduzione dal tedesco di Alessandro Bertinetto
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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)

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